Recensione: The Nothing
In un periodo di uscite continue e che spesso si assomigliano un po’ tutte, sono i grandi nomi che tengono alta l’asticella della nostra attenzione, ricordandoci perche’ amiamo tanto il metal e i suoi affini.
I Korn di Johnatan Davies sono attivi dal lontano 1993 e insieme ai Deftones possono essere considerati come i decani del nu-metal, genere ormai morto e sepolto, ma come in tutte le correnti musicali, con lo scorrere degli anni, solo i migliori rimangono a galla, mentre gli altri cadono nell’oblio. Certo la band di Bakersfield ha vissuto diverse fasi nella propria carriera dopo i primi esaltanti dischi, dove la loro riconoscibile formula di metal alternativo mischiato con linee di basso funky e il cantato melodico e a tratti hip hop di Davies, il gruppo ha subito la pesante perdita del chitarrista Head per problemi di droga. Ci sono voluti almeno tre album mediocri e confusi ( il trittico iniziato con Untitled) per tornare su livelli buoni con The Paradigm Shift in coincidenza, guarda caso, con il ritorno del figliol prodigo Brian Head Welch.
The Nothing arriva dopo tre anni dal precedente lavoro The Serenity of Suffering e già dalle cornamuse in lontananza sulla breve intro The End Begins si capisce che la band californiana è in ottima forma. Conferma che arriva subito dopo nella scura ma melodica Cold nella quale Davies mette a nudo tutte le sue paure attraverso un testo intimista, ormai marchio di fabbrica del cantante americano. La sezione ritmica formata dal solido asse Ray Luzier e Fieldy trita tutto e funge da trampolino di lancio per le scorribande sonore della coppia Head/Munky. Il disco non ha un calo di tensione ed anzi brano dopo brano cresce come un’onda anomala nel mezzo dell’oceano pacifico, travolgendo tutto quello che si trova davanti. Dall’eclettismo di The Darkness is Revealing alla potente Idiosyncrasy non c’è un momento per prendere fiato, ma mentre in passato i Korn pestavano duro, menando dei fendenti che non colpivano sempre il bersaglio grosso, qui ogni colpo è ben calibrato tra parti violente ed altre melodiche. Il singolo Can You Hear Me ci riporta direttamente ai tempi di Issues con un’atmosfera notturna che tanto piace a Davies e soci e con un ritornello che vi si stamperà in testa per non lasciarvi più per i giorni a seguire. Quando pensiamo che magari gli ultimi brani siano dei riempitivi, arrivano tre sberle che vi lasceranno annichiliti davanti le casse dello stereo fumante: Gravity of Discomfort con le sue ritmiche stoppate, Hr@rd3r con un Davies ispiratissimo nel creare delle linee vocali melodiche senza dimenticare le sue divagazioni isteriche, ed infine This Loss un brano con un’apertura centrale quasi blues!
Un disco mostruoso che si colloca tra i migliori partoriti dai Korn e sicuramente uno dei top album di questo 2019 in ambito alternative metal. Lasciate perdere l’hype del nuovo album dei Tool (un disco pieno di idee trite e ritrite e già sentite) e fiondatevi su questo monolite nero.
Non ve ne pentirete.