Recensione: The Optimist
“Il passato è come una lampada posta all’ingresso del futuro.”
(Félicité Robert de Lamennais)
In questa vita quasi nessuno è ottimista ai giorni nostri. Basti pensare a quello che succede nel mondo: guerre, fame, disperazione… Il passato ci perseguita, come potremmo essere ottimisti? Per passato intendo quando tutto è iniziato per gli Anathema, nel lontano 2001 con A Fine Day To Exit. L’album che ci apprestiamo a commentare, The Optimist, ritorna a quella storia: il racconto di un uomo misterioso. Ma che cosa è successo precisamente?
Gli Anathema ce lo raccontano attraverso un sound sognante, orchestrale e riflessivo, il quale descrive il viaggio notturno in macchina del protagonista, sotto la pioggia. La prima traccia dell’album è “32.63n 117.14w” (tipiche frequenze radio): una piccola intro di un minuto circa dove si sente il fiatone di quest’uomo che sta correndo in auto, come se scappasse da qualcosa o da qualcuno. La canzone seguente è “Leaving It Behind”: qui si spazia dalla chitarra post rock per poi passare a un prog in pieno stile Anathema (per quelli che non conoscono la band di Liverpool, prendete come esempio i Porcupine Tree in linea di massima). La canzone non cambia: ti lascia col fiato sospeso. Nella parte centrale del pezzo, fa il suo ingresso una parte elettronica, giusto per smorzare un po’ la tensione creata magistralmente dal quintetto del Merseyside. L’opera prosegue con “Endless Way”, caratterizzata da un pianoforte e molto toccante. La bellissima voce di Lee Douglas ci accompagna per tutta la durata con delle liriche da pelle d’oca. Questo pezzo è composto nella maggior parte da partiture molto semplici, ma è l’impatto emotivo che fa la differenza. Le orchestrazioni presenti e i suoni epici, danno una sorta di speranza a questo viaggio. Il viaggio continua con la title-track “The Optimist”, anch’essa una canzone molto toccante, dove la voce di Douglas e quella di Cavanagh si scambiano le parti a vicenda in alcuni passaggi musicali un po’ più delicati e altri più spinti a livello di pathos.
Finalmente arriviamo a una destinazione: “San Francisco”. Questa canzone ha lo stesso giro di note di “Endless Ways”. Pianoforte e synth in sottofondo: uno strato cosmico di suoni dove possiamo immaginare un viaggio surreale. È presente un intermezzo strumentale di 4 minuti e soltanto il finale ci fa capire cosa sta per accadere. Infatti possiamo udire suoni urbani di macchine, autobus ecc. Tutto ciò ci porta a immaginare che l’uomo misterioso stia ancora guidando senza sosta. La lunga corsa in auto arriva fino a “Springfield”: suoni lenti e stanchi affiancano la voce effettata di Lee Douglas. Successivamente entrano delle voci di sottofondo che creano un clima abbastanza misterioso. Il pezzo che stiamo ascoltando si presenta in maniera affascinante, ma nonostante ciò la canzone non ingrana. In questo caso, la storia ritorna nel passato. Infatti la traccia successiva si intitola “Ghost”. il pezzo si presenta con un’orchestra, la quale ci immedesima in una scena dov’è presente un paesaggio all’alba. La successiva “Can’t Let Go” è la traccia più movimentata del disco. Molto riflessiva, ma la parte determinante è come al solito alla fine della canzone, dove quest’uomo ritorna in macchina e risintonizza la radio nuovamente. La band riversa tutta la propria drammaticità in “Close Your Eyes”, una canzone molto evocativa che parla delle condizioni psicofisiche del personaggio, stanco perché non si è riposato neanche per un secondo durante il viaggio. Il sassofono sulla parte finale parla da sé. La seguente “Wildfires” parte lenta ma la vera chicca arriva verso la metà, dove si risente il prog rock epico degli Anathema che domina il pezzo, ma anche l’ascoltatore. Il brano conclusivo è “Back To The Start”, una suite di 11 minuti luno la quale ripercorriamo tutto quello che è successo nel disco a livello di suoni e citazioni riguardanti le canzoni precedenti. Da notare l’interessantissima parte verso la fine, una sorta di ghost track dove intuiamo subito che il personaggio sembra essere tornato indietro nel tempo dalla sua famiglia. Qui inizia una nuova vita, giocando con i suoi bambini e stando anche con la persona più importante della sua vita, sua moglie.
Nel complesso, l’album non ha parti aggressive come ci si può attendere nel prog rock classico. Non ha sezioni cervellotiche, cosa che ai nerd del prog piace tantissimo. The Optimist va preso più che altro come un album sognante e riflessivo, dove noi siamo destinati soltanto ad ascoltare in silenzio questi bellissimi suoni che la band inglese ha creato per noi. Ormai gli Anathema non hanno bisogno di presentazioni in questo campo: hanno sfornato dischi bellissimi, passando dal doom fino ad arrivare a canzoni più sperimentali. Una ricerca del suono sempre impeccabile e che non diventerà mai monotona qualora la band prosegua il proprio sviluppo musicale lungo questa strada. Fatelo vostro.