Recensione: The Order of Things

Di Andrea Poletti - 6 Gennaio 2017 - 6:01
The Order of Things
Band: Suma
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Nascere vuole dire uscire dal niente; morire vuol dire tornare nel niente: il vivente è ciò che esce dal niente e torna nel niente.
(Emanuele Severino)

Notte fonda, ore 01:40, decido di entrare a contatto con questo disco, che non lascia altro che la consapevolezza di andare a letto con inquietanti presupposti per un dolore ad occhi chiusi. Incubi che risiedono dietro l’armadio, sotto il materasso e oltre la finestra mi attendono, voglio abbracciarli perché è quella vena di dolore che fa star bene ed i Suma, conciliano il malessere. “The Order of Things” è quell’album risulta pressoché surreale e inutile descrivere sotto una veste classica; la loro discografia è forgiata per l’inacessibilità sonora, per raccogliere i frutti del nero vivere entro cui ognuno ciondola inerme e senza fiato. Il 2016 ci ha già regalato con molta probabilità il miglior album del settore sludge/stoner grazie agli Inter Arma, ma qua v’è ancora spazio per una punta di diamante finemente lavorata e cesellata per le mente più contorte. Destrutturata la musica, destrutturato il concetto di canzone classica il viaggio parte a ritroso, quasi a volersi sedimentare entro quella spirale che regredendo al principio di vivere ci ricorda che siamo esseri finiti, fini a noi stessi. Sostanzialmente inutili al percorso del mondo. Non esistono sorrisi, non è musica da spiaggia o da ascoltare con gli amici; notte, solitudine e riflessione quale arma necessaria per sopravvivere. Echi di grandi nomi quali Kyuss, Neurosis, gli Yob più primordiali e velature degli Sleep si condensano in centinai di sfumature di grigio per avvicinarsi al nero più profondo. Prendiamo la sinergia e la consapevolezza che i grandi ci hanno insegnato, forgiamola e creiamo qualcosa di ancora più grande, maligno e incandescente. Il senso di perdita, l’addormentarsi, l’ira funesta che si contorce e in parallelo l’ansia dell’uomo moderno; sensazioni contrastanti in alcuni casi ma condensate dentro quest’ora di viaggio astrale che non lascia indifferenti. Il cambio di cantante rispetto al passato, (Johan ha preso le veci di Jovan che ha lasciato in via definitiva) non portano gravi scompensi e tutto pare procedere su di una linea comune, quella dei quindici anni d’attività senza aver mai sbagliato un album. Piccole perle dell’underground che man mano sono andate a consolidarsi e formare un sound unico e inimitabile.

Ciò che colpisce maggiormente rispetto all’ultimo parto di sei anni orsono è l’intensificazione della dilatazione del suono, dove una produzione grassa e infinitamente claustrofobica porta verso un delirio verso gli abissi. I Suma oggi hanno scelto di abbracciare sonorità più tendenti doom/drone rispetto al passato e questa volontà è sintomo di quell’allineamento verso il mercato di oggi per favorire più intensità e pesantezza ad ogni singolo brano. L’iniziale ‘The Sick Present’ può essere un’intro di immense proporzioni prima che ‘Bait for Maggots’ con i suoi dieci minuti si catapulti dentro il mondo degli scandinavi senza chiederci il permesso. Ogni brano ha una verve lenta, cadenzata e decadente, ombre effimere e inteleggibili si stagliano all’orizzonte con le lunghe ‘Education for Death’ e la conclusiva ‘The Greater Dying’ come a sugellare un patto col diavolo; lo sludge puro degli albori nel gruppo oggi è andato pressochè a svanire, la mutazione dopo sei anni di silenzio è avvenuta in via definitiva e questo lato più sperimentale viene a ribadirci come il vero male, quello più intenso è dato dal lento che avanza inesorabile. Dentro “The Order of Things” non si trova la hit, il brano da cantare e dedicarcisi interamente ma una grande poltiglia nera e fangosa che premuto il pulsante play ti stringe forte senza lasciarti respirare.

Leggermente inferiore come qualità e intensità al maestoso “Paradise Gallows”, “The Order of Things” ci conferma come i Suma sono definitivamente sbocciati, non si racconta questo male sonoro; zitti e senza tregua si accetta indissolubilmente senza alzare lo sguardo. Questo disco si subisce, guardando al futuro con la sola speranza di non rimanerci male se il dolore sarà acuto. Da scoprire, da vivere perché album di tale fattura non lasciano mai indifferenti sotto qualsiasi aspetto.

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