Recensione: The Ossuary Lens

Di Daniele D'Adamo - 4 Aprile 2025 - 0:00
The Ossuary Lens
Band: Allegaeon
Etichetta: Metal Blade Records
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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82

Tre anni fa il sesto album, “Damnum”, due anni fa il rientro in formazione del figliol prodigo Ezra Haynes, membro co-fondatore della band nel lontano 2008, allontanatosi da essa nel 2015. Ora, “The Ossuary Lens“, il settimo sigillo.

Una brevissima disamina, quella sopra, atta a evidenziare l’importanza di Haynes all’interno della band statunitense. Senza nulla togliere a Riley McShane, il vocalist che ha preso il suo posto, la presenza del cantante del Nevada apporta alla band stessa quel qualcosa in più nell’economia dello suo stile. Stile che il medesimo Haynes definisce melotech. Fusione, cioè, di melodic e technical death metal. Un neologismo che, a parere di chi scrive, metterà tutti d’accordo per sintetizzare al massimo il sound dell’LP.

Gli Allegaeon si sono sempre dimostrati un combo in grado di produrre musica di alto livello tecnico/artistico, con un sound assai potente, molto pulito, aggressivo, non particolarmente complicato, parecchio variegato. Tuttavia, restando sostanzialmente nell’anonimato o quasi. Con “The Ossuary Lens” l’aria pare cambiare, giacché aumentano gli inserimenti ambient, di tastiera, orchestrazioni comprese. Non solo, a parte quale brano più riottoso, pare che la direzione intrapresa dai Nostri sia decisamente quella della spiccata armonia, intrecciata alle elucubrazioni mentali del technical death metal.

Il risultato è interessante, poiché – come più su accennato – conduce a un songwriting i cui dettami sono più numerosi rispetto al passato, con ciò regalando brani assolutamente diversi l’uno dall’altro, ovviamente cementati assieme dallo stilema musicale che contraddistingue la band del Colorado. Un caleidoscopio di colori, emozioni, sensazioni, che approfondisce, e non poco, il suono del disco e che, di conseguenza, va a metter mano, a scavare, a rimescolare, le sensazioni che albergano nell’animo umano.

Che questo step di progressione rispetto a quanto prodotto negli anni scorsi sia dovuto al ritorno di Haynes non è dato di saperlo ma sicuramente il suo zampino ha una portata non indifferente. Le sue linee vocali, infatti, scivolano su harsh vocals assai legate alla musica, nel senso che si possono comprendere i testi ascoltando le parole. Oltre a questo, non manca qualche segmento in growling, il che non guasta nell’economia complessiva del platter. Bandite, invece, le clean vocals, il che non diminuisce per niente la musicalità dell’opera.

Di tutto questo lavoro, atto a definire con estrema cura uno stile che, a questo punto si può dire unico, ne hanno beneficiato le tracce. E di non poco, dato atto che dopo pochi passaggi si riesce a memorizzarle. Circostanza piuttosto importante, perché di ogni song emerge un carattere spiccato sì da lasciare intravedere un duro lavoro in fase compositiva. Perché solo così, assieme al talento che all’act americano non manca, si riesce a creare qualcosa di unico, di personale. In poche parole, delle gran belle canzoni.

Il viaggio che, da “Refraction“, porta a “Scythe” è difatti assolutamente piacevole, nonostante in certi momenti si scateni la furia scardinatrice dei blast-beats. L’hit “Driftwood” è il momento più accattivante nel momento in cui esplode il ritornello anche se, occorre ribadirlo, la base musicale è sempre e comunque poderosa, massiccia, esplosiva. Fra le altre, per esempio, si fa notare “Dies Irae” per la devastante erogazione di watt che deflagrano al massimo delle possibilità umane. L’aggressività è totale, l’annichilazione è vicina grazie a uno scatenato Haynes, accompagnato da cori stentorei.

Ma è dappertutto che si manifesta la grande possanza di un ensemble in piena forma (“The Swarm“). Non manca neppure la suite, individuabile in “Wake Circling Above“, introdotta da una poderosa orchestrazione per poi declinare nella melodia, dentro l’aspra ugola di Haynes e nei blast-beats di Jeff Saltzman.

The Ossuary Lens” dimostra inequivocabilmente la rilevante crescita degli Allegaeon. Sia dal punto di vista tecnico, sia – soprattutto – di quello artistico, segnando a tinte forti il passaggio da band qualunque a… superband!

Daniele “dani66” D’Adamo

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