Recensione: The Outer Limits
Quello dei Voivod è sempre stato un nome caro a tanti appassionati di metal disseminati in giro per il mondo: il quartetto canadese, infatti, oltre ad aver esplorato innumerevoli sfaccettature del thrash metal nel corso di oltre venticinque anni, ha sempre mantenuto una costanza qualitativa invidiabile durante la sua lunghissima carriera.
Gli anni novanta hanno rappresentato per il complesso un periodo di cambiamento, oltre che dal punto di vista della formazione (nel 1993 avviene il primo abbandono di un membro storico, più precisamente il bassista Blacky, sostituito temporaneamente dal turnista Pierre St-Jean), anche da quello stilistico. In “Angel Rat” (1991), infatti, la componente thrash viene parzialmente messa da parte in favore di un tocco più marcatamente heavy/progressive metal con influenze psichedeliche; con che il distacco viene accentuato in questo “The Outer Limits”, dato alle stampe nel 1993.
L’opener “Fix My Heart”, grazie a riff di facile presa e a un ritornello assolutamente (e sorprendentemente) catchy, potrebbe addirittura far pensare a una completa conversione al classico hard’n’heavy da parte della band, nonostante la presenza di accordi dissonanti in pieno stile Voivod. Già nella successiva “Moonbeam Rider”, però, si capisce che la tecnica del quartetto è rimasta intatta nonostante si possano riscontrare ancora reminescenze (non tanto vaghe) hard rock.
A partire da “Le Pont Noir” i canadesi riprendono le atmosfere claustrofobiche a loro tanto care, impreziosite dal riffing convulso del mai troppo compianto Piggy e dalla voce sgraziata di Snake. Segue una cover dei Pink Floyd, “The Nile Song”, che così come quella di “Astronomy Domine” presente nel capolavoro “Nothingface”, viene resa in maniera molto personale e caratterizzata da un arrangiamento spaziale: si tratta, in breve, di una rivisitazione eccelsa.
Profumano invece di “Killing Technology” sin dal titolo “The Lost Machine” e “Time Warp”, distinte da arditi controtempi oltre che dall’ottimo guitarwork di Piggy, dissonante quasi come in nessun altro episodio nella discografia dei nordamericani, e dall’espressività di Snake, un cantante sì spesso sguaiato, ma contemporaneamente intenso e incisivo come ben pochi.
Segue quello che forse è il vero capolavoro dei Voivod: “Jack Luminous”. In ben diciassette minuti e mezzo si susseguono riff stonati, taglienti, robusti, cambi di ritmo improvvisi e sorprendenti, linee di basso palpitanti e soprattutto una voce malata. Il tutto si amalgama in un vortice di follia che non subisce il più lieve calo di tensione nemmeno per un secondo.
A chiudere “The Outer Limits” ci sono i due suoi episodi più accessibili: l’hard rock di “Wrong-Way Street” e il thrash metal classico della trascinante “We Are Not Alone”.
Un grande album tutto da riscoprire da parte di un gruppo eccezionale che purtroppo non ha mai trovato la fama che gli spetta, e che meriterebbe di essere sempre nominato insieme ai maestri del genere. “The Outer Limits” non ha nulla da invidiare agli altri grandi classici della band (“Dimension Hatross”, “Nothingface”, “Killing Technology”) e non solo.
Federico “Federico95” Reale
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Track-list:
1. Fix My Heart 4:56
2. Moonbeam Rider 4:10
3. Le Pont Noir 5:43
4. The Nile Song (Pink Floyd cover) 4:00
5. The Lost Machine 5:32
6. Time Warp 3:54
7. Jack Luminous 17:26
8. Wrong-Way Street 3:50
9. We Are Not Alone 4:26
All tracks 54 min.
Line-up:
Denis “Snake” Bélanger – Vocals
Denis “Piggy” D’Amour – Guitars
Pierre St-Jean – Bass
Michael “Away” Langevin – Drums