Recensione: The Overview

Di Paolo Fagioli D'Antona - 16 Marzo 2025 - 12:00
The Overview
Etichetta: Fiction Records
Genere: Progressive 
Anno: 2025
Nazione:
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74

Dopo la parentesi della reunion dei Porcupine Tree ed il disco solista The Harmony Codex del 2023, Steven Wilson già in questo inizio di 2025 torna con un nuovo album ed un progetto audio-visivo ambizioso chiamato The Overview. Già, perché quello che l’acclamato polistrumentista, vocalist, produttore e compositore dei Pocupine Tree ci vuole proporre a questo giro è una vera e propria esperienza multisensoriale, pensata in collaborazione con Space Rocks, un’organizzazione che unisce gli studi sul mondo dell’astronomia, della musica, ma anche del cinema. Assieme, Steven Wilson e Space Rocks hanno pensato al progetto e al concept attorno a questo disco, il cui punto focale è il cosiddetto “Overview Effect”, ossia quella sensazione che gli astronauti hanno una volta visionato il pianeta terra per la prima volta dallo spazio; una sensazione di stupore, fascinazione, ma anche una nuova consapevolezza di quanto il mondo dell’essere umano possa essere minuscolo ed insignificante davanti alla vastità del cosmo. Un’esperienza questa, che il buon Steven ha riportato sotto forma di un disco composto da due lunghe suite da ventitré e diciotto minuti rispettivamente, accompagnate da un film che è stato proiettato in molteplici sale attorno al mondo (con la musica dell’album ad accompagnare la visione), in una serie di tappe che hanno toccato anche Roma, più precisamente il Cinema Barberini, dove Steven ha presentato il suo progetto davanti a fan e giornalisti.

Naturalmente in questa recensione andremo a focalizzarci puramente sul lato musicale del progetto, ma andava fatto notare per correttezza, come queste due visioni artistiche siano nate assieme e siano integrali nell’ambito di un progetto unico. Va da sé che The Overview è un disco cinematico, spaziale e con tanti richiami al passato musicale di Stevan Wilson– dai passaggi space rock, ambient ed elettronici di un disco come The Sky Moves Sideways dei Porcupine Tree, alle atmosfere “trippy” di Voyage 34 (sempre dei PT), ad una struttura musicale che richiama i tempi di The Raven That Refused To Sing, con il suo approccio maggiormente incentrato verso le sonorità progressive rock di quel disco. Ecco se dovessimo riassumere le sonorità di The Overview, crediamo che una combinazione di questi tre album rappresentino la base degli ingredienti che rende il disco quello che è.

Un felice ritorno a territori più strettamente progressive rock dunque, cosa che il buon Steven aveva accantonato (almeno  a livello della sua carriera solista) dai tempi dello splendido Hand.Cannot. Erase del 2015 (se escludiamo qualche parentesi progressive in The Harmony Codex), per un disco fortemente ispirato dal cinema, grandioso e ambizioso, che vuole essere progressivo senza scadere nella definizione più anacronistica del termine (in parole povere non una becera riproposizione di quanto già fatto dai grandi del genere cinquanta o più anni fa, ma una ricerca sonora ed una esplorazione musicale che poi è alla chiave di quello che sta a significare il temine “progressive”).

The Overview, a detta di Steven Wilson, è il suo disco solista che più rappresenta la definizione intrinseca di “solista”, in quanto è stato composto e registrato per il novanta per cento dal solo Steven prima che altri guest si siano aggiunti per completare l’opera, come il chitarrista Randy Mc Stine, il batterista Craig Bundell, il tastierista Adam Holzman e non ultimo Andy Partridge degli XTC in veste di paroliere per quanto riguarda alcune sezioni del brano Objects Outlive Us.

Tra l’altro è interessante notare come i gusti musicali e l’approccio all’ascolto della musica del buon Steven oggi come oggi, rappresentino in pieno ciò che è trasposto su questo nuovo lavoro. Ci spieghiamo meglio; lo stesso Wilson in svariate interviste ha ammesso come oggigiorno ciò che più gli interessa quando ascolta musica (molto più di elementi come il groove, la ritmica, i ritornelli o altro ancora), è quella sensazione di ricreare un’atmosfera, uno stato emotivo, un “vibe” come direbbero gli anglofoni. Un qualcosa che riempia la stanza, come fosse una fragranza che colori l’ambiente di una determinata sensazione (e infatti lui stesso cita spesso la musica ambient come uno dei suoi generi più ascoltati). The Overview è esattamente questo, un’esperienza da vivere tutta d’un fiato, che ricrea, o almeno vuole ricreare, una sensazione, più che essere una collezione di momenti musicali maggiormente rappresentati da dei singoli momenti chiave. E da qui anche la necessità di scrivere due lunghe suite divise in sottosezioni che vogliono rappresentare al meglio la visione da “viaggio spaziale” del disco. Questa è stata l’intenzione, ma a conti fatti il buon Steven sarà riuscito nel suo intento?

Diciamo a metà. L’opener Objects Outlive Us, è senz’altro dei due pezzi quello più classicamente progressive rock. Ha un inizio minimale, sorretto molto dal pianoforte che tende a costruirsi mano mano, per un approccio al brano molto ricco a livello di parole e vocabolario. Anche nel “flow” e nello scorrere delle parole scandite da Steven Wilson, si nota una similitudine con l’esposizione di un vocalist come Peter Gabriel in questo specifico brano e la pronuncia fortemente anglosassone di Steven non fa che rimarcare ulteriormente quel rimando.

Il pezzo gioca con svariati parallelismi tra alcuni distinti fenomeni del cosmo ( come la morte di una stella, il collasso di un buco nero, o il viaggio di una nebulosa) e la vita quotidiana sulla terra, fatta di piccole e semplici azioni, quelle che compiamo tutti i giorni e che ci sembrano così importanti e centrali per noi esseri umani, ma allo stesso tempo così insignificanti e irrilevanti dinnanzi alla vastità del cosmo. I falsetti di Steven non sempre sono graditi, gli stacchi di pianoforte sono sempre interessanti, per un brano che rimane abbastanza minimale anche nell’ambito delle sue progressioni, sorrette in gran parte da una grandiosa fase ritmica e un pianoforte, come già specificato, molto in primo piano. Un brano questo che a tratti ricorda molto quelle atmosfere floydiane che noi tutti conosciamo, ma che non manca di improvvise esplosioni dettate dalla sezione ritmica, in particolare da un basso sempre pulsante e dal suono e dal groove molto appagante. Curiosa la scelta di quei dieci secondi di totale silenzio nel bel mezzo della traccia che poi prende nuovamente vita sotto forma di un delicato arpeggio di chitarra ed una continuazione ancora una volta estremamente pregna di parole e frasi recitate da Steven in maniera compulsiva e molto articolata. Considerando il tema e il concept del disco, ci saremmo aspettati un brano più sorretto da parti strumentali che ci facesse godere di quell’atmosfera da viaggio in cui è la sola musica a dettare il gioco, ma la scelta è stata diversa. Va detto che quando partono le poche sezioni strumentali in questa song, ecco che immediatamente veniamo rimandati ad un disco quale The Raven That Refused To Sing per l’approccio progressivo ed articolato delle sue parti, senza però mai utilizzare delle vere e proprie orchestrazioni o sinfonie come accadeva nel disco in questione.

Il secondo brano The Overview, mostra il lato più elettronico ed ambient del disco, coadiuvato a quel sound classicamente più prog/space rock di un lavoro come The Sky Moves Sideways dei Porcupine Tree. L’incipit potrebbe ricordare molto anche un progetto come quello di Voyage 34 degli stessi Porcupine Tree, anche grazie a quell’intro con quella sezione in “spoken word” che rimanda, anche come tonalità, a quella delle varie “fasi” proprio della suite di Voyage 34. E se in quel particolare pezzo il “viaggio” era più una sorta di “trip mentale” indotto dalle droghe, in questo caso la sensazione che viene ricreata con quel rumore di statica iniziale è quella di una trasmissione satellitare. E difatti dopo l’intro è lo stesso Steven ad immedesimarsi in un’ astronauta in missione nello spazio – “snow is falling but I can’t see it from here, and back at home my loving wife’s been dead for years”- allo stesso tempo è proprio dallo spazio che l’astronauta osserva la vita sulla terra con una prospettiva diversa, improvvisamente rendendosi conto della piccolezza della propria esistenza paragonata all’immensità del cosmo – “I see myself in relation to it all, what seemed importanti is now like dust inside a squall”-  Da notare come questo brano è decisamente meno denso di parole e vocaboli rispetto al precedente e si esprime maggiormente attraverso l’uso della musica più che dei testi. Ci hanno piacevolmente sorpreso in questo pezzo dei momenti avvolgenti e riverberati con tanto di strumming acustico che ci ha rimandato molto ai tempi di un disco come Stuipid Dream dei Porcupine Tree per stile ed atmosfera. Una delicata sezione di sassofono, atmosfere dal contesto più ambient coadiuvate con un’elettronica minimale riprendono le parti in “spoken word” iniziali, per una magnifica sezione a tinte prog rock, prima che un meraviglioso ed etereo assolo di chitarra ci travolga. Anche qui il groove del basso è presente ed è a tratti fortemente dominante, mentre l’assolo di moog verso il finale, nel contesto del brano funziona veramente bene.

Nel complesso un gran bel pezzo che per quanto ci riguarda possiede l’unico difetto di concludersi con una serie di minuti abbastanza monotoni e tediosi, sicuramente voluti per creare un senso di “fade out” e far immergere l’ascoltatore nella desolante quiete dello spazio , ma che alla lunga con i suoi suoni di tastiera minimali, quasi dei piccoli “shot tastieristici”(chissà forse ogni suono vuole rappresentare un fenomeno cosmico visto a distanza di milioni di anni luce), risulta un pochino noioso, a meno che l’ascoltatore non sia in uno stato di completo assorbimento ed in completa sintonia col vibe della musica.

In conclusione The Overview  è un progetto ambizioso, nato come un’esperienza multisensoriale e che in quanto tale, probabilmente perde un qualcosa rimuovendo la sezione puramente visuale ricreata dal film che lo accompagna. Nonostante questo farà felice tutti i fan di Steven Wilson che volevano un ritorno a sonorità più space rock e progressive rock, con numerosi rimandi ad album e progetti dei Porcupine Tree come The Sky Moves Sideways e Voyage 34, ma anche ad un classico come The Raven That Refused To Sing. Insomma, il buon Steven riesce a ricreare un viaggio artistico stimolante che unisce molte delle influenze musicali che abbiamo potuto apprezzare nel corso della sua lunga carriera come quelle più ambient, elettroniche e progressive rock, per un platter che però non è esente da difetti, che non brilla di momenti incredibilmente entusiasmanti come in altri dischi solisti dello stesso artista britannico, ma che rappresenta senza dubbio un’esperienza che nella sua totalità risulta immersiva e appagante.

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