Recensione: The Patriot
Poco conosciuti dalla scena mainstream del filone black-folk, gli ucraini Holy Blood son un gruppo piuttosto apprezzato nell’ambito del christian metal, soprattutto in seguito al loro secondo album datato 2004 e intitolato “Waves are Dancing”. A quattro anni di distanza si ripresentano a noi con questo loro nuovo lavoro intitolato “The Patriot”. Purtroppo è notizia di questa estate lo split del gruppo che ha visto tutti i musicisti lasciare la band per fondare gli Oskord, lasciando il monicker al solo singer Fedor che dovrebbe essere presto raggiunto dalla moglie Vera alle tastiere con cui ricostruirà, forse, gli Holy Blood.
Concentriamoci piuttosto sull’album. L’iniziale “In the Night Gloom” è una intro d’atmosfera a base di suoni notturni e ululati di lupi su cui si innestano le tastiere che vanno poi, ovviamente, a sfociare nella successiva “War of the Human Soul” costituendone l’ossatura.
Si tratta di un brano veloce e potente, un buon black (o forse sarebbe più giusto il termine “unblack”) impreziosito da frequenti inserti folk. Si tratta del sound caratteristico degli Holy Blood e che li ha fatti apprezzare dai propri fan, arricchito, questa volta, anche da cori di ispirazione quasi viking che ci riportano alla mente alcuni dei nomi più noti del genere.
La titletrack ripresenta questa stessa alchimia risultando un brano orecchiabile e coinvolgente, con alcune frecce al proprio arco e la capacità di fare buona presa sull’ascoltatore.
Successivamente gli Holy Blood cercano di variare un po’ la propria scaletta puntando più sulla componente black, come nel caso di “Wind Death”, o su quella folk, come “Thirst to Live in Freedom”.
Con “Blood of Christ”, il gruppo tocca forse la vetta più alta del disco riuscendo a coniugare, oltre al black e al folk tipici del loro sound, anche una componente molto evocativa, data in questo caso dall’uso dell’organo e di alcune parti sinfoniche molto convincenti.
La conclusiva “Meeting the Sunrise” è la degna, e forse un po’ ovvia, conclusione di questo disco. Grazie al suo delicato arpeggio di chitarra, al flauto e ai suoni campionati ci regala una sorta di brano a tratti unplugged che ci porta sulle rive del mare, tra la risacca delle onde e il richiamo dei gabbiani.
Menzione a parte, non particolarmente positiva, per la traccia remixata “Ipytannaya Faith”, decisamente lontana dallo stile della band e che non ci sembra neanche essere particolarmente ispirata. L’inizio è molto evocativo, dopo quasi 3 minuti di silenzio, poi, purtroppo, tutte le aspettative si infrangono su un ritmo cacofonico forse più adatto a una discoteca e a una torma di urla che si sovrappongono a suoni elettronici. Esperimento, a mio avviso, decisamente rivedibile.
Per concludere gli Holy Blood sfornano un album di buon livello che dà ai propri fan proprio ciò che si aspettano. Tolto quello che potremmo definire come un incidente di percorso, il disco si instrada su una via che la band conosce bene e difatti segue senza errori. Se non vi son errori, non vi son, però, neanche perle che facciano brillare il cd di luce propria. Un compitino eseguito molto bene che sicuramente darà a molti qualcosa di apprezzabile, ma che non fa fare agli ucraini quel salto che molti si aspettavano.
Tracklist:
01 In the Night Gloom
02 War of the Human Soul
03 The Patriot
04 Wind Death
05 Thirst to Live in Freedom
06 Ipytannaya Faith
07 Blood of Christ
08 Ipytannaya Faith (remix)
09 Meeting the Sunrise
Alex “Engash-Krul” Calvi