Recensione: The Pattern

Di Vittorio Cafiero - 27 Marzo 2022 - 10:36
The Pattern
Band: Oceana
Genere: Progressive 
Anno: 2021
Nazione:
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75

Con un certo ritardo, prendiamo in esame l’album di esordio degli Oceana, band capitolina attiva già dalla prima metà degli anni ’90,  ma giunta ad incidere il primo lavoro sulla lunga distanza solo nel 2021. Motivo della lunga gestazione – più che giustificato – l’impegno prioritario del leader e mastermind Massimiliano Pagliuso nei Novembre in veste di chitarrista. Nonostante il passare degli anni, si sa, i vecchi amori e le vecchie passioni possono continuare ad ardere sotto la cenere, ed ecco che, liberi da altri impegni, i tre amici non più adolescenti decidono con estrema naturalezza di riprendere il filo del discorso e il risultato è proprio “The Pattern”, pubblicato dalla Time To Kill, etichetta romana ultimamente molto attiva che vanta nel proprio roster gruppi quali Doomraiser, Fulci e Inno tra i tanti.

 

L’album, interamente scritto proprio da Massimiliano e arrangiato assieme al batterista Alessandro “Sancho” Marconcini, è difficilmente inseribile all’interno di un unico sottogenere (ci perdonerete la probabilmente troppo generica etichetta “progressive metal” usata per indicizzare la recensione) e forse il motivo di tale indole così ibrida è proprio il fatto che il gruppo sia nato in un particolare momento storico (i primi due pezzi appaiono anche in un promo del 1996), per poi vedere la piena luce solo un quarto di secolo dopo. Passano gli anni, i gusti si evolvono così come l’approccio compositivo e il risultato è un lavoro decisamente variegato, multistrato, frutto di esperienze maturate nel corso degli anni. Progressivo, in senso assoluto, quindi. E’ palese come “The Pattern” parta da una base gothic death anni ’90, ma si sviluppi in territori decisamente più vari. Provate a pensare a quello che facevano i Pyogenesis (“Twinaleblood”-era, ossia inserire un growl distinguibile su una base melodica), ma immaginateli più “classici”, considerate i lavori di Nightingale – o se vogliamo, dei successivi Witherscape – di Dan Swanö (che, guarda caso, si è occupato di mix e masterizzazione) e da ultimo, ma sicuramente non in ordine di importanza, aggiungete un’inevitabile atmosfera “novembrina” che permea tutto il lavoro. Ebbene, in questo modo, avrete una certa idea della proposta degli Oceana, abbastanza indicativa seppur non completamente esaustiva, in quanto c’è parecchia personalità e originalità tra i “solchi” del disco.

 

Come si diceva, si attraversano stati d’animo molto diversi, la melodia è pressoché onnipresente, ma spesso e volentieri funge da base preparatoria per slanci più aggressivi, dove Massimiliano fa sfoggio di uno stile vocale molto personale, delicato sul pulito così come controllato e mai apertamente sguaiato nelle parti aggressive; per essere la sua prima volta dietro al microfono, la sua prova è particolare ed interessante. C’è cura per gli arrangiamenti, il songwriting è ragionato ma lontano da inutili barocchismi. Si prenda “Fail To Silence”, dove la progressione della strofa porta in modo molto naturale all’esplosione del refrain oppure a “Violet” con i suoi tempi irregolari, i suoi break e il suo crescendo finale, così lontana dalla classica forma-canzone o ancora “Tragicomic Reality” che invece fa dell’immediatezza la sua arma vincente e trova sublimazione in un assolo che non può non riportare a quel gruppo che con dischi come “Novembrine Waltz” e “Materia” ci ha fatto appassionare. Si menzionava prima Dan Swanö e con “A Friend” gli Oceana gli rendono un vero e proprio omaggio: la melodia portante ricorda incredibilmente alle atmosfere robuste ma armoniose dei suoi Nightingale o anche del suo progetto solista Moontower. E se “Spoiled” fa della linearità la sua arma vincente, con la lunga “Atlantidea Suite Part 1” i Romani, al contrario, sfogano tutta la loro creatività compositiva: quasi un quarto d’ora di durata dove si può trovare davvero di tutto, dalla melodia, alle divagazioni solistiche, dalle accelerazioni alle pause più intimiste; una sorta di ampio “tavolo di lavoro” dove lasciare sfogare voce e strumenti. Quasi a fare da decompressione, la cover di “The Unforgiven” dei Metallica, che come atmosfere ben si sposa con quelle del disco qui analizzato e che suonerebbe simile all’originale, se non fosse per il cantato nelle strofe, decisamente ben più robusto, caratteristica che la rende più peculiare. A chiudere l’album, il pezzo designato ad essere singolo e video, “You Don’t Know“: scelta più che mai azzeccata, grazie ad un ritornello che si stampa immediatamente in testa.

 

 

The Pattern” è un disco elitario, nel senso buono del termine, non per tutti, di non immediata assimilazione. Un lavoro originale, dalle tantissime sfaccettature e dalle molteplici atmosfere, lontano dai tanti cloni che si aggirano nell’universo death/gothic/doom più o meno progressivo. E a tal proposito, chiaramente il fantasma dei Novembre è abbastanza presente, ma non predominante: gli Oceana sono assolutamente originali e vivono di luce propria.

 

Privo di palesi difetti, quello degli Oceana è l’esordio di una band che ancora sta trovando la sua strada e la sua rotta. E’ l’inizio di un viaggio, di un progetto musicale tutto in divenire: le basi sono state messe, ma sono ancora indubbiamente ampie le possibilità di migliorare e risultare ancora più incisivi e focalizzati.

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