Recensione: The Plague/Game Over

Di Filippo Benedetto - 5 Aprile 2004 - 0:00
The Plague/Game Over
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Anno: 1986
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80

Dopo la dipartita dagli Anthrax il bassista Dan Lilker fondò una nuova band sotto il moniker “Nuclear Assault” e incise un EP di debutto intitolato “The Plague”. Questa release, contenente 4 traccie fece un po’ da apripista per il vero e proprio debutto discografico con il primo full legnht intitolato “Game Over”. La recensione che seguirà si occuperà di entrambi i due lavori della thrash metal band americana. Innanzitutto da notare è il buon lavoro per quanto concerne gli art work. Infatti in entrambi i dischi sono raffigurate scene apocalittiche; “The Plague” immortala uomini vestiti con tute contro radiazioni nucleari, lasciando immaginare un diretto collegamento con il moniker della band; “Game Over” invece raffigura una scena di panico collettivo allo scoppio di una probabile bomba nucleare, con l’ovvia associazione di idee con il nome della band: Nuclear Assault, appunto. Ciò potrebbe autorizzarci a ravvisare, avvalendoci di un dell’artifizio logico, una particolare ed effettiva linea di continuità tra le due copertine che, anche nei lavori seguenti, seguiranno un preciso filone concettuale. Dopo questa breve premessa, passiamo all’analisi dei due dischi, cominciando dall’EP “The Plaghe” e proseguendo, quindi, con la recensione del debut album.

The Plague:

In apertura a questo EP figura la strumentale “Game over”, dove si può notare in bell’evidenza il basso di Lilker che sembra essere elemento trascinatore del resto degli strumenti. Questa traccia si snoda lungo tempi medi e il riffing è cupo, pesante e incisivo. La qualità tecnico strumentale è già discreta e riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Proseguendo con “Nightmares” notiamo un Connelly decisamente diverso in veste di Connelly, sfoggiando vocals non troppo “urlate” e più pulite del solito. Particolarmente interessante è l’assolo che, giocato lungo linee melodiche dissonanti ma efficaci. Di sicuro può essere considerato tra i migliori di questo lavoro. Proseguendo ci si imbatte in “Butt F**k (You figure it out), brano decisamente originale introdotto inizialmente da un riffing cupo e cadenzate che poi cede il passo ad una progressione ritmica verso un drumming veloce e diretto, inframmezzato da un tema incentrato su linee melodiche vagamente bluesy. Il risultato è fulminante. La successiva “Justice” irrompe con un riff tagliente sostenuto da un drumming deciso e potente. Le vocals di Connelly si fanno più dirette e graffianti e si amalgamano bene al resto degli strumenti, specialmente quando le ritmiche si fanno leggermente più cadenzate. A seguire “The Plague” si distingue per un riffing più riflessivo e sostenuto da una sezione ritmica incentrata su tempi medi. Molto ben costruito è il refrain principale, dove Connelly sforza la voce lungo tonalità più alte. Interviene poi un assolo dissonante che si innesta, quasi in contrasto, in seguito ad un suggestivo arpeggio che dona un certo lustro al brano. Chiude l’EP la violenta e potente “Cross of Iron”, song costruita su un riffing martellante e su un drumming veloce e diretto. Anche in questo brano gioca risulta interessante la divagazione solistica di Bramante, che permette al pezzo di svilupparsi lungo linee melodiche più accessibili.

Game Over:

Ad aprire il disco è la strumentale “Live, Suffer. Die”. Già dal riff d’apertura si ha la sensazione che questo platter è dinamico, adrenalinico e di grande impatto sonoro. In effetti questo brano, della durata di un minuto circa, si svolge lungo un riffing molto “tirato” e sostenuto da un sezione ritmica veloce, potente ma comunque precisa. A seguire irrompe la prima vera track dell’album, “Sin” e possiamo notare la band sfoggiare una aggressività notevole incanalata lungo un riffs coinvolgenti che si svolgono lungo accelerazioni ritmiche stupefacenti alternate a decelerazioni sulle quali il riffing si fa più “ragionato”. Degna di nota la prova vocale di Connelly, qui particolarmente graffiante. “Cold Steel” è un altro attacco sonoro, una cavalcata ritmica diretta e senza fronzoli dove la voce di Connelly sembra urlare tutta la rabbia immaginabile. Fulminante l’assolo che irrompe quando il brano subisce una sterzata ritmica spiazzante grazie il drumming di Glenn Evans decisamente martellante. Anche “Betrayal” non manca di colpire l’ascoltatore grazie ad un sound compatto e diretto, merito di un amalgama devastante tra le chitarre e la sezione ritmica, ancora una volta viaggiante lungo tempi veloci e mai rilassati. Questo brano si distingue per un lavoro alla batteria più ragionato e impostato lungo ritmiche più rallentate ma non meno efficaci. In questo pezzo, però, la band dimostra di non volersi fossilizzare su un unico tema musicale ed infatti di lì a poco le ritmiche subiscono una brusca accelerata, lasciando intervenire, lungo un riffing serrato, un assolo fulminante.
“Radiation Sickness” è un altro brano carico di adrenalina, dove chitarra ritmica e il ruvido basso di Lilker fanno da apertura. Il riffing di Connelly e Bramante non lascia respiro e trova una interessante divagazione nell’assolo, che si rivela particolarmente azzeccato.
Menzione particolare merita la seguente “Hang the Pope” (tralascio la traduzione del titolo), sfuriata sonora al limite del grind core nella quale la band si lancia in riffs velocissimi sostenuti da un drumming tiratissimo. In sostanza una quarantina di secondi di puro divertimento assicurata. Da notare l’ossessività con cui Lilker urla il breve testo della track! La successiva “After the holocaust” può essere considerata una delle migliori songs del platter. Ad introdurre questo brano interveniene un bell’arpeggio dai toni cupi e quasi introspettivi, per poi lasciare spazio ad un drumming potente anche se non eccessivamente veloce. Anche in questo caos da notare è la buona prova dei due chitarristi che si lanciano in trascinanti riffs e in due assoli altrettanto coinvolgenti. Dopo una ironica e divertente deviazione “fuori tema” ad opera della successiva “Mr. Softee Theme”, dove chitarre prive di disporsione quasi sussurrano un motivetto innocente e spensierato, si passa a “Stranded in Hell”, dove si impone un riffing più ragionato, sostenuto da un drumming votato ai tempi medi. In questo brano particolarmente degno di nota è la capacità del combo di addentrarsi in atmosfere più cupe non prive di vaghe reminescenze sabbathiane. Sicuramente da considerarsi un altro pezzo degno di nota del disco. “My America”, al contrario, è un’altra sfuriata ritmica dove la band al completo sfoggia tutta la sua aggressività in una trentina di secondi e prepara l’ascoltatore al riffing quasi hardcore della seguente “Vengeance”. Anche qui da notare e la parte solistica, nella quale Connelly e Bramante danno ottima prova di sinergia. Granitica la sezione ritmica che sorregge a dovere la struttura del pezzo. La sorpresa arriva con la conclusiva “Brain death”, introdotta da un arpeggio acustico cupo, malinconico e suggestivo. Questo è uno dei brani più lunghi del platter e denota una certa maturità del combo in fase di songwriting. La fase acustica introduttiva poi spazio ad un altro attacco sonoro, merito di un riffing deciso e graffiante che si sviluppa prima in tutta la sua aggressività per poi trovare sbocco in ritmiche più cadenzate e però coinvolgenti. Proprio questa capacità di articolare il brano lungo atomosfere diverse lo rende particolarmente interessante.

“The Plague” e “Game Over”, per concludere, possono essere considerati due lavori particolarmente interessanti, in special modo il full lenght che consegna alla storia del thrash metal d’oltreoceano una delle più promettenti band in grado di coniugare aggressività e ironia, nonché una discreta capacità tecnico strumentale.

Tracklist:

Game Over
1. Live, Suffer, Die
2. Sin
3. Cold Steel
4. Betrayal
5. Radiation Sickness
6. Hang The Pope
7. After The Holocaust
8. Mr. Softee Theme
9. Stranded In Hell
10. Nuclear War
11. My America
12. Vengeance
13. Brain Death

The Plague:
14. Game Over
15. Nightmares
16. Butt F**k
17. Justice
18. Plague, The
19. Cross Of Iron

Line Up:

John Connelly vocals and guitar
Dan Lilker bass
Antony Bramante guitars
Glenn Evans drums

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