Recensione: The Politics Of Ecstasy
The Politics Of Ecstasy è ben più di un ottimo album thrash: quando lo si ascolta non ci si può limitare a sterili considerazioni tecniche ed estetiche, non sarebbero necessari discorsi sull’abilità dei musicisti o sulla qualità della produzione. Ciò che più conta in questo disco è la capacità di suscitarci emozioni indimenticabili.
Tornando sulla terra c’è da dire che questo disco, pubblicato nel 1996, segue di pochi mesi il mini In Memory, lavoro dalle atmosfere cupe e dalle melodie sognanti che già faceva intravvedere le nuove coordinate prese dalla band di Seattle. In questo nuovo lavoro, oltre ai soliti Warrel Dane (voce), Jeff Loomis (chittarra), Jim Sheppard (basso) e Van Williams (batteria), troviamo il chitarrista Pat O’Brien, che tutti noi conosciamo per la sua successiva esperienza nei Cannibal Corpse. La produzione, estremamente chiara e potente, è affidata al mago della console Neil Kernon che riesce a creare un suono perfetto per le ipnotiche atmosfere del disco senza perdere intensità nelle parti più tirate.
I primi due accordi della traccia iniziale, “The Seven Tongues Of God”, bastano per capire che l’aria è cambiata, ci troviamo di fronte ad un gruppo finalmente maturo, dedito (su questo disco) ad un un thrash metal complesso e moderno ben eseguito grazie alla grande preparazione tecnica dei componenti, che tuttavia non risulta indigesto, dato che tutte le song sfociano in splendidi ritornelli dalle melodie sognanti cantati da un ottimo Warrel Dane. E’ proprio lui l’elemento chiave di questo disco, un singer che, nonostante in questo disco abbia abbandonato quasi del tutto gli acuti e il falsetto alla Rob Halford che lo aveva caratterizzato nei Sanctuary e nel debut album, riesce ad arricchire enormemente ogni composizione grazie alla sua capacità interpretativa. La già citata prima traccia si sviluppa esattamente in questa direzione: i riff di Loomis, sempre vari e mai banali, supportati da una sezione ritmica potentissima e versatile (il lavoro di Williams dietro alle pelli è davvero uno dei punti di forza del disco) ci accompagnano verso il refrain che grazie alle sue melodie dissonanti riesce ad entrarci subito in testa.Uno dei migliori pezzi del disco.
Le due track successive seguono grosso modo queste coordinate: “This Sacrament” è dotata di ritornelli “catchy” ma sempre molto originali, ed è arricchita da uno splendido assolo della coppia O’Brien/Loomis; “Next In Line” è invece una canzone davvero ipnotica nel suo incedere: il brano evolve tra riff stonati e melodie improbabili in un’atmosfera davvero unica.
Segue “The Passenger”, esperimento al limite del doom dove Dane dimostra di essere un attore più che un cantante.
E’ poi il turno della title-track, canzone complessa, ricca di cambi di tempo e di arrangiamenti raffinati: inizia lenta con un Warrel Dane ancora sopra le righe, per poi accellerare vistosamente a metà brano e qui è Van Williams a tenere le redini. La seguente “Lost” è forse l’episodio più anonimo del lavoro, ma comunque non annoia grazie a ritmiche e riff ispirati. A questo punto troviamo “The Tienanmen Man”, pezzo diretto ma tra i più riusciti grazie a melodie veramente azzeccate, e la breve strumentale di chitarra “Precognition” che ci fa prendere fiato prima di “42417”, il pezzo più aggressivo del lotto ma comunque vario e coinvolgente.
Ed ecco “The Learning”, ultima traccia, song di oltre 9 minuti che riassume un disco intero. Inizia con un lento arpeggio di chitarra al quale ben presto si sovrappone la voce di Dane, la cui interpretazione in questa song è veramente magistrale. L’atmosfera si fa asettica, distaccata, perfetta per il testo della canzone che tratta di un’ipotetica macchina che tenta di apprendere i comportamenti e i pensieri umani per divenire a tutti gli effetti un entità pensante. Dopo l’introduzione inizia un crescendo che tra riff contorti e melodie impressionanti ci porta alla fine di un album praticamente senza cadute di tono.
Dunque uno splendido disco dove i Nevermore associano ottime melodie alla potenza del thrash. L’unica pecca secondo me (ma lo riconoscerà la band stessa nelle interviste) è che non c’è una perfetta armonia tra testi e musica, il che porta Dane a cantare quasi sempre in maniera aggressiva, un difetto che non si ripeterà nei dischi successivi, dove il gruppo presterà grande attenzione alla perfetta fusione tra questi due elementi. Una nota di merito ancora ai testi (scritti dal biondo cantante), che trattano tutti, con estremo cinismo, di temi sociali.
Tracklist:
1 – The Seven Tongues Of God
2 – This Sacrament
3 – Next In Line
4 – The Passenger
5 – The Politics Of Ecstasy
6 – Lost
7 – The Tienanmen Man
8 – Precognition
9 – 42417
10 – The Learning