Recensione: The Post-Apocalyptic Servant

Di Vittorio Sabelli - 15 Giugno 2014 - 22:50
The Post-Apocalyptic Servant
Band: Sinister
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Olanda, 1992.

Due dei dischi più influenti dell’intera storia del death metal stavano per sconvolgere le regole di quello che sarebbe divenuto il genere negli anni seguenti. Gli Asphyx di Martin Van Drunen, a solo un anno di distanza dal debutto “The Rack”, davano alle stampe il loro capolavoro assoluto, “The Last One On Earth”, mentre una nuova band dava alla luce il primo capitolo del un trittico infernale composto da “Cross The Styx”, “Diabolical Summoning” e “Hate”.

Se non avete idea o non avete mai sentito menzionare quanto detto finora non perdete tempo a leggere le righe successive. Non è possibile ascoltare i Sinister attuali senza avere la benché minima idea del loro ruolo nella storia del metallo estremo europeo (e non solo). La band capitanata dal batterista Aad Kloosterwaard e dalla voce esoterica di Mike Van Mastrigt riveste un ruolo di primissimo piano nel panorama estremo, soprattutto per queste tre gemme, rilasciate dal 1992 al 1995. Quest’incanto porge al termine con la partenza del vocalist, dando vita a un periodo buio per la band, che, nonostante rimase in attività, iniziò a produrre dischi di livello inevitabilmente inferiore rispetto agli esordi. Nonostante gli inserimenti di musicisti validi nel corso degli anni, il nuovo mercato musicale tenne i Sinister emarginati, inducendoli a sciogliersi nel 2003.

Un paio d’anni di riflessione e Aad Kloosterwaard riprende in mano le redini della band, spostando il baricentro verso il ruolo di vocalist, inserendo nuovi musicisti che rimettessero in moto la macchina dopo questo breve periodi di inattività. E la ripartenza con “Afterburner” nel 2006 rimette subito in carreggiata la band, che cambia decisamente sound, presentandosi come una macchina più combattiva e assetata. Da qui l’altrettanto ottimo “The Silent Howling” del 2008 e il meno buono “Legacy Of Ashes” del 2010, che porteranno il leader a cambiare ancora line-up.

E il cambio è radicale, con l’inserimento deila formazione completa degli Absurd Universe, con la coppia Bas Brussard/Dennis Hartog alle sei corde, Mathijs Brussaard e Toep Duin al reparto ritmico (rispettivamente basso e batteria). E proprio nella zona ritmica risaltano le nuove idee della band, dove il duo mostra una simbiosi pressoché perfetta, che riesce a mettere in mostra tutto ciò che succede “sopra di loro”.

La partenza del nuovo “The Post-Apocalyptic Servant“ è devastante: “The Science Of Prophecy” viene presentata da chitarre armonizzate, ma solo per scatenare l’inferno in maniera più massiccia. Riffing spezza ossa, drumming solido e la voce cavernosa di Kloosterwaard ci danno il buongiorno tra la miriade di cambi di tempi, soli di chitarra giocati su tremoli e tanta roba che s’incastona perfettamente nella macchina distruttiva creata per l’occasione.

Non c’è tregua, la band è un torrente in piena e non lascia segni di cedimento, con cambi continui, che lascerebbero pensare a un contesto che si splitta tra brutal, technical e prog metal. Ma la realtà è che la band suona solo un maledetto e spietato death metal, lontano dagli esordi ma che attinge da venti anni di storia del genere, di cui i Sinister fanno parte. Qualche rallentamento improvviso su “The Macabre God”, così come su “The Sculpture Of Insanity”, lascia solo il tempo di un respiro. Ma uno solo, perché il resto è ancora e sempre inaudita violenza organizzata.

Qualche sporadico break in “The End Of All That Conquers”, ma quel tocco in più nel disco sono i soli di chitarra, che per la maggior parte si sviluppano sfruttando tecniche trite e ritrite come tremolo, bending, scale diminuite, ma l’uso fatto dai due axe-man durante il massacro di riff continui è ottimamente accettato e non disturba per un solo istante.

“The Masquerade Of An Angel” e “The Dome Of Pleasure” si avvicinano ai Cannibal Corpse del primo periodo “Corpsegrinder”, anche timbricamente, dove Kloosterwaard sembra andare a sotterrarsi in compagnia di un senso ritmico non indifferente. I cambi improvvisi sono ormai cosa scontata, ma non è scontato dove andranno a finire, lasciando sempre più strade aperte.

Da quì fino alla fine i restanti brani non fanno che consolidare la bellezza di questo nuovo capitolo Sinister. L’ottima vena composiiva dei musicisti, affiancata alla loro preparazione tecnica, sprigiona un sound distruttivo, mai domo, e sempre piacevole e mai scontato. Una band che non finirà mai di stupirci, nonostante i tempi di “Cross The Styx” siano lontani, continueremo a godere del loro massacro sonoro.

Vittorio “versus” Sabelli

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