Recensione: The Powerless Rise
Molte, anzi moltissime band che hanno pascolato e pascolano nei fitti prati del metal estremo, col passare del tempo, forse per tentare sentieri diversi o solo perché la giovanile irruenza si affievolisce con gli anni, tendono inesorabilmente a edulcorare il proprio stile; arrotondando sempre di più gli spigoli per rendere più morbido l’impatto sonoro.
A questa consolidata regola sfuggono gli statunitensi As I Lay Dying. La band, nata dieci anni fa, fabbricava un metalcore (nello specifico, un guazzabuglio di swedish death, nu metal, hardcore, deathcore) costruito a uso e consumo di coloro che affrontavano le sonorità più ruvide prevalentemente per moda; senza possedere, cioè, un metallico background culturale.
Con il susseguirsi delle stagioni, dopo innumerevoli singoli e tre full length, il quintetto piomba nuovamente sul mercato mondiale con “The Powerless Rise”, album che sancisce, forse, la definitiva maturazione artistica del gruppo. Il quale, ora, sembra impegnato in maniera volitiva a mettere insieme le cellule necessarie per dar vita a un organismo individuato da un DNA derivato (finalmente?) e quindi evoluto dagli stilemi di base del genere inventato dal mai troppo compianto Charles Michael Schuldiner. Il tutto, naturalmente, senza abbandonare la spiccata propensione verso la melodia e i ritornelli di facile botta, presenti all’appello.
Più sopra si è accennato alla maturazione artistica raggiunta dal combo nordamericano. Ciò si evince, principalmente, da tre distinti principi. Il primo, derivante dall’ottimo se non eccellente bilanciamento fra parti dure e parti morbide. Il secondo, dal raggiungimento della consistenza necessaria per scrivere una sequenza di canzoni omogenee e, infine, dal perseguimento del famigerato obiettivo di giungere a tratteggiare uno stile ben definito e personale.
Inutile soffermarsi sugli aspetti tecnici: nel 2010, con una major specializzata alle spalle, il prodotto finale non può che essere irreprensibile sotto tutti i punti di vista. Dalla veste grafica, passando per la fase compositiva e infine arrivando ai musicisti, tutto è svolto con la massima professionalità, con notevole dispendio di risorse, uomini e mezzi; non ultimo un martellante battage pubblicitario. Quando però sotto i brillanti luccichii della pubblicità c’è la sostanza, si può anche sorvolare su quest’aspetto della questione.
Sostanza terribilmente pesante, possente; dalla potenza che si propaga a onde in modo debordante. La forza che comprime in tal modo la materia, addensandola, proviene dal mostruoso guitarwork di Sgrosso e Hipa. Il riffing ha una tessitura fittissima, passando dai marmorei accordi delle ritmiche alle fini ricuciture operate dai soli. Con gran beneficio delle canzoni, che presentano una buona varietà armonica, pur assestate sul medesimo groove. Che i Nostri abbiano deciso un approccio aggressivo alla questione lo dimostra subito il blast beats dell’opener “Beyond Our Suffering”, seguita a ruota da “Anodyne Sea”, una vera mazzata fra capo e collo con un gran refrain in clean. Un devastante riff portante rende “Without Conclusion” un boccone difficile da digerire per chiunque, con la sezione ritmica scatenata che, addirittura, rimanda in certi istanti agli Slayer (“Condemned”)! Molto prepotenti, anche, le linee vocali, isteriche e dai riottosi cori anthemici. Questo trio di song in rapida successione dimostra quel che si diceva all’inizio, cioè il deciso taglio verso le sonorità più spinte; pur tuttavia non mancanti di aperture melodiche (“Parallels”), accomodate sull’identico, alto standard qualitativo del lavoro. Niente da fare per chi ha bisogno di un attimo di pausa: “The Plague” rade al suolo ogni residua resistenza, calpestata poi dall’incessante doppia cassa di Mancino in “Anger And Apathy”, forse hit (? – difficile pensare a un easy mainstream per i californiani …) di “The Powerless Rise” per via dell’azzeccato ritornello, destinato inesorabilmente a ficcarsi nel cranio. “Upside Down Kingdom” farà tremare le solette del vostro appartamento, con il suo pachidermico mid tempo cui non manca una buona dose di armonia, immediatamente ripresa in “Vacancy”. Curiosi i «riffacci» di “The Only Constant Is Change”, che simulano, perdonate la facile metafora, dei sonori schiaffoni in piena faccia! “The Blinding Of False Light” chiude degnamente il disco, abbandonandosi, finalmente – almeno all’inizio – verso un ritmo meno d’assalto quindi più lento e languido nella melodia. Non che si possa parlare di ballata, giacché ad esempio Gilbert gira sulle quattro corde con la consueta decisione e mobilità e anche perché, nella seconda parte della song, la latente potenza riaffiora con il solito vigore.
Non fatevi prendere dai facili pregiudizi o dalle conclusioni affrettate: “The Powerless Rise” è una furia scatenata. Un album di una potenza talmente esagerata che è davvero arduo trovarne di analoga, oggi. Gli As I Lay Dying hanno imbrigliato classe e vigore per concentrarlo su un sound esplosivo, che dal vivo non mancherà di mettere a ferro e fuoco i palazzetti ove metteranno piede. Come succede nella maggior parte dei casi di coloro che affrontano questo genere, comunque sia derivato da embrioni *-core, l’originalità non è una qualità che si trovi in abbondanza. Non si può aver tutto dalla vita. Sennò, saremmo di fronte a un capolavoro, cosa che – ciò nondimeno – non è.
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Track-list:
1. Beyond Our Suffering 2:49
2. Anodyne Sea 4:34
3. Without Conclusion 3:15
4. Parallels 4:57
5. The Plague 3:42
6. Anger And Apathy 4:25
7. Condemned 2:49
8. Upside Down Kingdom 4:00
9. Vacancy 4:26
10. The Only Constant Is Change 4:07
11. The Blinding Of False Light 5:10
Line-up:
Tim Lambesis – Vocals
Phil Sgrosso – Guitar
Nick Hipa – Guitar
Josh Gilbert – Bass/Vocals
Jordan Mancino – Drums