Recensione: The Propaganda Machine
Demonstealer è il cantante/chitarrista della nota band indiana di metal, nello specifico melodic death metal: i Demonic Resurrection. Sin qui tutto normale. La particolarità è insita nel fatto che il progetto del vocalist è partito nel 1998, mentre la band è nata nel 2000, anno in cui ha dato alle stampe il proprio debut-album. Guarda caso, “Demonstealer”. Tutto questo poiché, in genere, per i musicisti accade il contrario. Prima il gruppo e poi da solista.
Detto ciò, al Nostro competono sempre voce e sei corde. Per il suo quarto disco, “The Propaganda Machine”, egli si avvale di una pletora di artisti provenienti dalle più disparate parti del Mondo. Artisti di primo piano, appartenenti a una moltitudine di act di ottimo livello, impossibili da elencare qui. Per dare l’idea, tuttavia, si possono citare Blood Red Throne, Ne Obliviscaris, Triptykon, Kataklysm, Aborted, Cradle Of Filth.
Rispetto ai Demonic Resurrection, Demonstealer propone un death melodico leggermente meno agghindato da orchestrazioni e similari, ma di poco. Risultando più diretto, frontale, lineare. Se si vuole, meno complesso. Assai moderno nel mood, che assomma tutti i dettami di base, ben lungi da iterare quelli dell’ortodossia del genere di cui trattasi.
Il sound è ottimo, ideale per riprodurre l’enorme potenza erogata dalla strumentazione elettrica (‘The Great Dictator’). Il death di “The Propaganda Machine” è massiccio, corposo, possente, a tratti violentissimo, quando i BPM oltrepassano la barriera infuocata dei blast-beats. Così, il muro di suono eretto da Demonstealer e i suoi collaboratori assume dimensioni sterminate, soprattutto nello spessore, sì da divenire un oggetto di acciaio su cui sbattere ripetutamente la testa in un ipotetico headbanging senza limiti.
Oltre alla titanica energia in gioco, bisogna di nuovo sottolineare che, trattandosi di melodic death metal, i brani presentano in primo piano ritornelli totalmente orecchiabili, come per esempio si può udire nella closing-track ‘Crushing the Iron Fist’. Sono presenti episodi più aggressivi quali ‘The Anti-National’ ma, tutto sommato, sono eccezioni che confermano la regola. Regola che impone l’antitesi fra la dissonanza della furia scardinatrice e l’orecchiabilità dei chorus.
Sul fatto che Demonstealer non si sia avvalso di una formazione fisica con cui provare i vari pezzi e realizzare l’LP, vale il solito discorso. Benché gli attori siano fra i migliori che i possano trovare in giro, partecipare a distanza mediante la moderna tecnologia digitale e internet toglie al sound quel sentore di sudore, di fatica, di unità d’intenti che caratterizzano, invece, chi suona materialmente assieme. L’artista di Mumbai, bisogna ammetterlo, ha il talento necessario per tenere legato il tutto senza sfilacciamenti. Tanto che pare di ascoltare un act tradizionale. Anche se, come sempre accade, manca quel quid invisibile che fa di un progetto teorico un’entità tradizionale.
Poco incisive, invece, le canzoni. Non sono certamente da buttare ma hanno il difetto di essere scolastiche. Come se fossero senz’anima. Certo, si lasciano ascoltare con piacere, e scorrono con freschezza e fluidità. Tuttavia, a lungo andare, rappresentano un insieme un poco piatto, senza quei picchi in cui il songwriting diventa incisivo.
Per questo, “The Propaganda Machine” non può che superare la mera sufficienza, o poco più, dato che la sua componente artistica non riesce a sfondare. Sfonda, invece, eccome, il titanico suono di un’opera creata con grande professionalità e serietà. Demonstealer non si può che onorare per il suo sforzo di aver messo assieme tanta gente in un proponimento che, in ogni caso, ha un suo marchio di fabbrica. Un suo perché.
Da ascoltare al massimo volume… e il terremoto scuoterà l’etere!
Daniele “dani66” D’Adamo