Recensione: The Puppet Master
L’oscuro e malinconico fascino della gotica Budapest del diciottesimo secolo, un uomo conosciuto come “The Unfortunate Man”, una donna misteriosa e tante, tantissime marionette : sono questi gli ingredienti che, miscelati sapientemente nel diabolico calderone del Re Diamante, hanno permesso l’uscita dell’ennesimo album targato King Diamond, “The Puppet Master”. Ci ho messo un po’ prima di recensirlo, infatti il disco è uscito da quasi praticamente un mese (21 ottobre), tuttavia ho deciso di prendermi un po’ di tempo per cercare di analizzare al meglio un album che, avendomi inizialmente stregato, poteva essere oggetto di giudizio troppo soggettivo. Questo lavoro, il tredicesimo nella carriera solista del vocalist danese e terzo per quanto riguarda il nuovo millennio, è davvero di eccellente qualità, e segue le classiche linee compositive (anche se parzialmente modificate) ed esecutive alle quali King Diamond e compagni ci hanno abituato. Abbiamo dunque un solito concept, come sempre oscuro e incentrato su figure dai poteri misteriosi e sicuramente non benigni. Questa volta la sede dei fatti è, come detto in presentazione, la Budapest di fine 1700, luogo che lascia sicuramente molto spazio alla fantasia. E’ Natale, ed un uomo, Unfortunate Man, si ferma ad assistere strada ad un classicissimo spettacolo di marionette, senonchè vede una donna di nome Victoria. I due si innamorano, ma purtroppo Victoria ha un rapporto con il padrone delle marionette dello spettacolo, non però il tipo di rapporto che una persona può immaginare. Circa un anno dopo Victoria va allo spettacolo delle marionette ma non torna più indietro, e The Unfortunate Man decide di indagare al caso…. Da queste basi si sprigionano una serie di trame che, intrecciandosi fra di loro, formano una delle storie più interessanti e ricche di sensazioni e sfumature mai scritte da King Diamond, che riesce, come sempre, a infondere alle sue liriche la solita dose di malignità e melodrammaticità a lui e ai suoi fans tanto care. Ma parliamo anche del lato puramente esecutivo e sonoro. Il Re, l’inseparabile Andy Larocque, Hal Patino (l’elemento in più della band, secondo me), Mike Wead e Matt Thompson sono riusciti a fare un disco a due facce. Non vi sono dei reali spunti di genialità clamorosa, tuttavia “The Puppet Master” risulta molto più diretto di numerose precedenti opere del combo, più classicamente Heavy se vogliamo dirla a questo modo. La produzione del CD (consigliata l’edizione limitata col DVD contentente King che narra in persona il suo ultimo concept), Cd suonato su scale molto basse, più basse di quelle usate nella media dai nostri, è affidata e realizzata piuttosto bene da Diamond e Larocque che, come dicevo, portano ad un disco a due facce : questo perché è abbastanza facile suddividere (approssimativamente però, non certo in assoluto) il platter in due filoni musicali ben distinti, dopo la classica mini-traccia che funge da introduzione : una prima porzione (aperta da uno spettacolare “Let The Show Begin”) ove sono concentrati i pezzi più duri e potenti, ed una seconda più naif e, permettetemi il termine, “altolocata”. Nel primo raggruppamento, che sembra provenire direttamente dal vecchio materiale Diamondiano, abbiamo chitarre sfrenate, ritmi trascinanti, e i soliti assoli ubriacanti, elementi che raggiungono per me il loro apice nella durissima titletrack e nelle splendide “Magic” e “Blue Eyes”, dotate tra l’altro, come anche altri brani, di importanti tratti ricchi di melodia. La parte altolocata, che occupa prevalentemente la fine del disco, è decisamente più leggera dal punto di vista del sound, ma ha un nonsochè di veramente nobile che viene spigionato, soprattutto grazie al sapiente e maestoso uso delle tastiere, che riproducono un meraviglioso e sacrale effetto organo. Per capire appieno quello che sto cercando di comunicare basta sentire “So Sad” o il ritornello della stupenda (la mia preferita in assoluto) “Darkness”, Darnkess che presenta tra l’altro un caso geniale di uso “nascosto” del termine “666” (può non essere inteso al volo, ma quando King urla Six, il suo eco compare in fade due volte, col risultato della pronuncia “Six Six Six”). Ho parlato bene del concept, ho parlato bene della musica, può venire in mente una domanda “ma questo disco ha difetti?”. Beh qualcosa ha, e paradossalmente è la voce di King. No non sono matto, ma si distingue chiaramente che la voce del nostro non è più quella di una volta. Il falsetto è contenuto, più pacato e basso dei bei tempi, la voce normale c’è ed è abbastanza roca, per un risultato complessivo sicuramente godibile (oh, parliamo di King Diamond) ma non quello degli anni d’oro. Non è una critica, semplicemente gli anni passano per tutti, e l’uso della voce come lo fa King di sicuro logora. Ma ecco quello che secondo me è un colpo di genio. Il vocalist, conscio di questo suo “problema” ha assunto al suo servizio una voce femminile, che oltre ad aiutare lui simula perfettamente la voce di Victoria, per un risultato complessivo eccellente e soprattutto di tremendo impatto emotivo (per la serie : come usare a proprio vantaggio uno svantaggio).
Ho finito, ora non vi resta che seguire questo album con tanto di testi al fianco (ricordo che proprio i testi sono il 50% del fascino del Re Diamante), di sicuro ne rimarrete colpiti perché, volenti o nolenti, King Diamond non delude praticamente mai, e dire che sono passati quasi venti e rotti anni dal suo debutto. Incredibile, per nostra fortuna.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Midnight
2) The Puppet Master
3) Magic
4) Emerencia
5) Blue Eyes
6) The Ritual
7) No More Me
8) Blood To Walk
9) Darkness
10) So Sad
11) Christmas
12) Living Dead