Recensione: The Rack
Sebbene le discografie riportino ciò, The Rack non è il primo full-lenght registrato in studio dagli Asphyx. Essi infatti registrarono Embrace the Death nel 1990 per la britannica CMFT Productions, ma il disco non vide la luce per problemi finanziari della label. Intanto, nonostante alcuni mutamenti nel line-up, la band divenne ugualmente famosa nell’ambito dell’underground death metal europeo, tanto che per aprire un loro concerto ad Hardenberg, sempre nel ’90, furono reclutati addirittura gli stessi Paradise Lost, che già godevano di vasta fama in quegli anni. La formazione che entrò così in studio per registrare The Rack fu Martin Van Drunen (proveniente dai Pestilence) alle vocals e al basso, Eric Daniels alla chitarra e Bob Bagchus alla batteria, per dar vita ad un sound influenzato, fra i tanti, da Venom e Possessed, che lascerà per i posteri dei solchi profondi a denotare uno stile unico, irripetibile e per certi versi difficilmente imitabile. The Rack, infatti, fu registrato con un budget ridotto per volontà stessa della band, che era alla ricerca di un suono il più veritiero e diretto possibile, che quasi li “costringesse” a suonare con mano ogni singola canzone.
In questo modo il disco presenta in tutto il suo essere un suono crudo e seminale, ruvido, carico di atmosfere d’influenza doom che lo rendono oscuro e cupo, senza tralasciare l’impatto della potenza che è propria del death metal.
Dopo l’intro melodica The Quest of Absurdity infatti arriva il più classico dei pugni allo stomaco, Vermin, diretto e ben assestato, che fa capire che i tre olandesi vogliono raggiungere subito il proprio intento sonoro. Vermin si mantiene incalzante in tutta la sua durata e il suo sound è quello del death degli albori, a voler seguire la strada tracciata dai maestri provenienti dalla Svezia e dalla Florida. Su questa strada sembra voler proseguire Diabolical Existence, salvo poi regalarci le prime influenze doom del disco, con delle parti più rallentate ed armoniche che seguono lo schema dal lento al veloce che già fece la fortuna degli Obituary. Sulla medesima falsa riga è Evocation, una delle due canzoni più lunghe del cd, che presenta quasi tutte le caratteristiche proprie del doom dell’epoca, diversificandosi però per la proverbiale aggressività degli Asphyx, che mantiene a dovere l’impatto sonoro nudo e crudo (credo inoltre che in questo brano si possa apprezzare la miglior performance vocale dell’opera). Tutto inutile (si fa per dire), perché Wasteland of Terror ci ricorda che abbiamo a che fare con un disco death metal e ci conduce a quello che, assieme alla titletrack, è forse uno dei pezzi più riusciti del disco, The Sickening Dwell, che esprime appieno il potenziale della band, la quale riesce a coniugare un death diretto e tirato ad atmosfere oscure e vibranti. Così fanno anche la strumentale Ode to Nameless Grave e Pages in Blood, ricordando il concetto appena espresso che rende gli Asphyx di questo cd davvero unici.
Ed ora veniamo alla titletrack, The Rack. Fin da subito, dal primo ascolto, anni or sono, questa canzone mi impressionò in tutto e per tutto. In 9’05” racchiude l’essenza dei propositi della band e davvero non ci s’accorge di arrivare alla fine dei nove minuti. Oltre ad essere una canzone di sicura ispirazione, propone un arrangiamento ben studiato in ogni sua parte e di sicuro si può dire che all’epoca una canzone così lunga rappresentava una scommessa per un gruppo death. E’ da segnalare, alla fine di questa fatica compositiva, un innesto di tastiere, che per quanto accennato, è sicuramente uno dei valori aggiunti dell’intera tracklist.
Dopo diciotto anni, non c’è da stupirsi se all’epoca gli Asphyx vendettero ben 30.000 copie di quello che è il loro esordio ufficiale. Non mi crea nemmeno scompiglio ricordare che per il tour di promozione di The Rack seguirono niente meno che gli Entombed. Il metal olandese, oggi famoso per band come Within Temptation, i pur validi Epica e i dissolti After Forever, molto deve alla band di Bagchus, che ha contribuito e contribuisce non poco a far segnare la piccola Olanda fra le nazioni del metal. Il merito maggiore da riconoscere agli Asphyx, comunque, è di aver saputo uscire dall’anonimato sapendo dare alla propria musica un tocco personale ed originale, perché all’epoca sarebbe stato facile cadere nella tentazione di scimmiottare la scena death americana o quella svedese e questo disco credo rappresenti al meglio invece l’intento di una ricerca di un proprio percorso.
Marco “Dragar” Sanco
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Tracklist:
01. The Quest Of Absurdity
02. Vermin
03. Diabolical Existence
04. Evocation
05. Wasteland Of Terror
06. The Sickening Dwell
07. Ode To A Nameless Grave
08. Pages In Blood
09. The Rack