Recensione: The Real Thing
Dopo l’uscita dell’ottimo “Introduce Yourself” i Faith no More decisero di dare una svolta radicale alla loro carriera, licenziando il frontman Chuck Mosley e assumendo al suo posto il più dotato leader dei Mr. Bungle Mike Patton. Questa scelta sarà vincente, visto che il buon Mike si rivelerà un frontman ASSOLUTAMENTE devastante. L’album che ne uscì, “The Real Thing”, è definito da molti come una “perla” nella storia dell’Heavy Metal, e soprattutto come l’alba del crossover. Va lo stesso detto che molti degli ingredienti vincenti presenti su questo disco si potevano trovare in abbondanza nei precedenti album, soprattutto in “Introduce Yourself”. Il disco che ne uscì è qualcosa di formidabile.
L’apertura come nel platter precedente, e come in quelli successivi, spetta ad un brano che parte subito in quarta, facendo quasi venire un infarto all’ascoltatore. Sto parlando della splendida e tiratissima “From Out of Nowhere”. Il brano spinge chi l’ascolta ad un headbagging scatenato, fino al refrain che si stampa subito nel cervello per quanto è melodico.
La seguente traccia è quella canzone che ha fatto la storia dei Faith no More e che è additata come la “mamma del Nu-Metal”, sto parlando di “Epic”. Questo brano è stato uno dei primi (non il primo, per carità!!!) esperimenti di contaminazione su di un brano metal con un cantato pesantemente rap. Il risultato è a detta di chi scrive, qualcosa di unico e mai più riuscito a questi livelli. Questo singolo, il secondo, diede fama e gloria ai nostri, grazie soprattutto al video che girò in heavy rotation in quel periodo su tutte le televisioni. I nostri ebbero anche qualche problema da questo video da parte degli animalisti, a causa della scena finale in cui si vede un pesciolino rosso fuori dall’acqua che saltella soffocando, accompagnato dal finale di questo pezzo meravigliosamente orchestrato dal solo piano di Roddy Bottum (altra arma vincente dei nostri!!!).
“Fallino to Pieces” si rivela altra “chicca” del disco, poiché questo pezzo racchiude in se le virtù vincenti dei due che l’hanno preceduto, non a caso sarà scelto come terzo singolo.
“Surprise! You’re Dead” è uno di quei brani/manifesto che dimostrano già dal titolo, tutta la follia che pervade le songs dei Faith no More. Il pezzo in questione è scritto dal chitarrista Jim Martin, il quale lo ripresenterà nel suo album solista, ed è un breve (due minuti e mezzo), incazzatissimo esempio di follia, magistralmente interpretato/urlato da Mike Patton, il quale da questo episodio comincia a far vedere quelle peculiarità interpretative che sfodererà nei lavori successivi.
La successiva “Zombie Eaters” è una perla di canzone introdotta dolcemente con un arpeggio di chitarra classica e da un tappeto di tastiere, che accompagnano la voce di Mike ora dolce ed evocativa, per poi esplodere in un crescendo che porterà progressivamente il pezzo ad un finale incazzatissimo e cadenzato, per poi essere chiuso di nuovo dal dolce suono della chitarra classica e dalle tastiere.
La title track apre la seconda parte del disco (almeno per chi come me possiede il vinile), ed è un brano atipico, lungo e articolato, dove possiamo trovare i soliti sbalzi “umorali” presenti nelle precedenti tracce, ma forse qui possiamo parlare di una follia più controllata.
“Underwater Love” è un pezzo dinamico che conferma quanto di buono i Faith no More hanno fatto con altri brani (“From Out of Nowhere”, “Faster Disco”, “Chinese Arithmetic”, ecc..), in altre parole un rock tirato che non consente a chi lo ascolta di stare fermo.
Altra chicca di questo disco è “The Morning After”, la quale conferma le bontà compositive/esecutive dei nostri che si stagliano su di un pezzo ritmicamente pesante e in crescita progressiva.
Chiude, almeno per quanto concerne il vinile, “Woodpecker from Mars” uno strumentale dove i nostri danno libero sfogo a tutte le folli caratteristiche del loro stile.
Nella versione in CD hanno trovato posto due “bonus track”. “War Pigs” è ovviamente la cover del celeberrimo brano dei Black Sabbath, qui riproposta piuttosto fedelmente se non per un finale più caotico rispetto all’originale e ad un Mike Patton più efficace del buon vecchio Ozzy, quindi consentitemi di preferirla rispetto all’originale. “Edge of the World” è una semi ballad, dove Mike sfodera una prestazione da urlo (come tutto il resto della band!).
In conclusione consiglio vivamente a tutti quegli sciagurati che ancora non conoscono questo disco, di farlo loro al più presto. In quest’album troverete i semi che hanno dato vita a moltissimi gruppi oggi iper blasonati, oltre che una band che è oggi ricordata, e a ragione, tra i massimi esponenti della musica degli anni ’90.