Recensione: The Reckoning
Capita, alle volte, di trovarsi fra le mani dischi che riescono a stupire e ad attirare la nostra attenzione, catturandoci senza che possiamo accorgercene. Talvolta ciò succede quando meno ce lo aspettiamo, facendoci rimanere ancor più stupiti.
Questo è quanto mi è accaduto all’ascolto di “The Reckoning”, prima opera sulla lunga distanza firmata Picture of Pain, nati nel 2004 a Karmøy, cittadina norvegese dalla scena metal non molto florida.
La band risulta attiva sin dal 2005, anno di produzione del primo demo, seguito da “From the Ashes” pubblicato nel 2006, cui fa seguito, dopo un biennio di silenzio il già citato “The Reckoning”, oggetto della recensione.
Musicalmente siamo al cospetto di un full-length non propriamente innovativo, ma che riesce a rielaborare con estrema personalità numerosi e diversi generi musicali. La proposta del combo si potrebbe definire, a grandi linee, un death metal melodico ricco di venature progressive, all’interno del quale confluiscono, più raramente, elementi thrash.
A un ascolto attento, si nota come i ragazzi siano stati notevolmente influenzati dall’immortale “The Sound of Perseverance” dei compianti Death e dalla scena del nord Europa, specie per quanto concerne la costante ricerca melodica.
Nonostante, come si diceva in precedenza, l’approccio possa non apparire particolarmente personale, la forza dei Pictures of Pain risiede in un songwriting solido e di altissima qualità, che rende i brani estremamente appassionanti e interessanti, nessuno escluso.
La bontà dei pezzi è infatti uno dei caratteri distintivi del disco: canzoni in cui violenza e melodia sono ben bilanciate si susseguono in un turbine emotivo che non può lasciare impassibili, anche se solo per un istante, pure l’ascoltatore più smaliziato.
Naturalmente tutta la mole di lavoro è sostenuta da una preparazione tecnica di livello elevato da parte di ciascun membro. Le chitarre di Rune e Andre si intrecciano in continuazione alternandosi in assoli di grande gusto che non scadono mai in sterili esibizioni tecniche; il riffing risulta piuttosto articolato e complesso, ma mai inutilmente arzigogolato.
La sezione ritmica non è da meno: Roy Østrem e Frode Gundersen, rispettivamente basso e batteria, svolgono un compito scevro da difetti, sfoderando una prestazione pressoché perfetta. Le ritmiche sono possenti, ma al contempo anche varie, conferendo alle tracce quel tocco di dinamicità che le rende, se possibile, ancor più interessanti.
Un plauso sincero va poi all’operato di Hans Helge Iversen, cantante del gruppo, autore di una prova sopra le righe. Lascia quasi di stucco la facilità con la quale il singer riesce a passare da parti growl a scream potenti e laceranti, sino ad arrivare a passaggi in voce pulita dotati di grande carica emotiva.
L’introduzione del full-lentgh viene demandata all’affascinante “Betrayal”, che in 5 minuti mette bene in chiaro quello che i Nostri sono in grado di fare: una breve intro di chitarre alternate alla voce fa da preludio a un brano potente che attinge a piene mani dagli ultimi Death. Rallentamenti e accelerazioni si susseguono in un crescendo emotivo che travolge letteralmente l’ascoltatore. A colpire è la capacità di questi musicisti di coniugare abilità strumentale e pàthos, raggiungendo un equilibrio invidiabile.
Andando avanti si può notare come non vi siano mai cadute di stile, la tracklist scorre infatti priva di intoppi. Ecco allora che non si può rimanere impassibili davanti alle decelerazioni atmosferiche e allo splendido chorus di “Far Beyond”, o al death melodico influenzato dal thrash di “Eternal Rage” e “Deviator”, in cui si possono scorgere addirittura delle eco provenienti da “The Fragile Art of Existance” dei Control Denied.
Ben riusciti e integrati anche gli episodi più tirati, quali la title-track -pezzo che scatenerà un continuo headbanging dalla prima all’ultima nota-, o ancora “Final State”, nella quale questi giovani sfoderano una prestazione tecnica che vi lascierà senza parole.
Tanto di cappello alla qualità della della registrazione, che permette una resa dei suoni più che sufficiente, rendendoli puliti e chiari, ma senza togliere nulla alla naturalezza degli strumenti.
Cos’altro dire? Sicuramente “The Reckoning” è uno di quei dischi che non escono tutti i giorni: le emozioni e la bellezza intrinseca di questo platter, unitamente alle grandi capacità esecutive e compositive di questi cinque splendidi musicisti, lo elevano a uno dei migliori debut album del 2010.
Farsi scappare questo disco sarebbe da pazzi. Non mi resta altro che raccomandarvi di correre per farlo vostro, non ne rimarrete affatto delusi.
Tracklist:
01- Betrayal
02- Far Beyond
03- Eternal Rage
04- Deviator
05- Sign of Time
06- Years of Disgrace
07- The Reckoning
08- Final State
09- From the Ashes (Demo 2006)
10- Guardian of Tears (Demo 2005)
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Emanuele Calderone