Recensione: The Redemptive End
Nati come accade per una moltitudine di realtà black metal contemporanee, la one man band dei Groza del fondatore P.G. diviene a tutti gli effetti un gruppo poco dopo aver pubblicato il disco d’esordio intitolato Unified In Void. Trascorsi tre anni è il momento di approdare nelle fila della AOP Records e tornare in studio, così da aggiornare la forma espressiva di un gruppo spesso e volentieri giustamente accostato alle sonorità dei Mgla. Sarebbe più corretto dire che il sound che troviamo nel nuovo album The Redemptive End si ispira al combo polacco, dato che i nostri teutonici traggono a piene mani in quanto a songwriting, atmosfere create, finanche all’immagine offerta nelle fotografie promozionali.
Detto questo, The Redemptive End non si esime dal dispensare episodi convincenti, come nel caso di Sunken In Styx – Part II: Descent, la vera e propria opener, nonché l’unica traccia – fatta eccezione della breve intro – a restare attorno ad un minutaggio che è sostanzialmente la metà dei restanti brani. Questo desiderio di prolungare volutamente la costruzione delle tracce sembra penalizzare la scorrevolezza che avremmo invece preferito da un lavoro più a suo agio nelle parti dirette, rispetto a quelle interludiche. I Groza dimostrano ottima compattezza una volta imbracciati i propri strumenti e anche la produzione ne valorizza ogni parte, ma resta il fatto che un prodotto meno esteso e più compatto avrebbe regalato qualche punto in più all’esperienza di questo The Redemptive End. 68/70 per chi è incline a questo tipo di sonorità e non sente la necessità di sviluppi meno tergiversatori, 65 per tutti gli altri.