Recensione: The Regal Tribe
Vi siete mai chiesti che suono potrebbe avere la morte? Ovviamente cerchiamo di avere questi nefasti pensieri il meno possibile, ma ascoltando un genere che proprio porta quel nome, la domanda potrebbe sorgere spontanea.
Nei silenzi troveremmo quella risposta, o in quegli istanti prima di perire, nei respiri e rantolii che precedono la fine. Forse mille immagini, gioie, sensi di colpa, scorrerebbero di fronte ai nostri occhi, oppure il nulla.
Tra i tanti cantori di questo filone, troviamo gli Usurpress, il cui terzo capitolo di storia vede proprio la luce quest’anno. Gli artisti in questione arrivano da una folta esperienza musicale underground, mescolando sapientemente diverse influenze. Il ritratto dipinto è così composto da nebbie di classico heavy/doom, in cui ci muoviamo a fatica, ostacolati da fango di matrice *-core e punk, e che potremmo definire tranquillamente nell’accezione più moderna sludge.
Il paesaggio che s’intravede in lontananza è fatto d’improvvise ambientazioni che toccano il concetto di progressive, solennità di un sole che colora di oro ma che non scalda. Non dimentichiamo che tutto ciò vive di un death metal old school, punto fermo di ogni espressione dei brani via via suonati.
Il precedente disco, intitolato “Ordained”, era un esempio di come l’idea di unire generi vetusti potesse essere più che buona, ma di come altrettanto mancasse un ideale filo conduttore. Il risultato fu un full-length destrutturato, e che non pareva avere una direzione definita. “The Regal Tribe” è invece più dinamico, prodotto meglio a livello di suoni, e sapientemente composto nelle proprie molteplici sfaccettature.
Respiriamo a fondo per spegnere angosce, restandone però intrappolati più a lungo di quanto vorremmo. Desidereremmo disincagliare questo macigno che il fiume della vita ci ha lentamente portato qui, ci sforziamo di voler comprendere le ragioni di tale afflizione, ma tutto risulta vano. Troviamo uno spiraglio fermandoci, in pause fatte di melodie di chitarra che tutto ricoprono, come brezza che ci ricorda la leggerezza di una speranza rinnovata.
Il pezzo ‘On a Bed of Straw’ è il tipico esempio di tutto ciò, e la successiva ‘The Sin That Is Mine’ riporta il pensiero poi a un faticoso cammino, che per crescendo farà palpitare il cuore anche gli amanti dell’epic.
“The Regal Tribe” è da sviscerare in ogni suo rigurgito di note, e richiederà un impegno profuso nel tempo per meglio coglierne i tratti distintivi.
Stefano “Thiess” Santamaria
