Recensione: The Relation Between Brain And Behaviour

Di Stefano Burini - 12 Aprile 2013 - 0:01
The Relation Between Brain And Behaviour
Band: Aidan
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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65

Non è musica semplice, quella dei veneti Aidan (Davide alla chitarra, Luca al basso e Michael alla batteria e agli effetti): sludge/post metal interamente strumentale e dal mood cupo e apocalittico che si sviluppa lungo sette tracce di musica spaziale, fortemente atmosferica e anche piuttosto affascinante, nonostante l’indubbia difficoltà di fruizione.

C’è qualcosa dei Kyuss in alcuni riff arcigni e vigorosi, oltre che nell’uso insistito dei piatti a dare un a forte connotazione psichedelica alle varie composizioni, e c’è molto dei Neurosis nell’efficace desolazione tipica del sound dei tre padovani. Nulla, quindi, di sostanzialmente nuovo all’orizzonte; vale, ciononostante, la pena di lodare la buona capacità degli Aidan di inserire sul canovaccio di cui sopra qualche piccola e azzeccata variazione sul tema, in grado di donare maggior varietà ad un opera altrimenti fin troppo monolitica, pur nella sua coerenza stilistica.

Il viaggio inizia con l’interessantissima intro “Lebanon 1823”: 2 minuti e 46 secondi di pura desolazione a base di effetti sonori in grado di richiamare a tratti i Pink Floyd di “On The Run”, quanto di ricreare un’atmosfera nel contempo tesa e inquietantemente immota. In tre parole: la colonna sonora perfetta per una di quelle scene da fantascienza post-atomica tipiche del cinema di genere, nemmeno troppo distante dal Vangelis più immaginifico dei tempi di Blade Runner. La successiva “No Longer Gage” è un post metal fangoso che trova i propri momenti migliori nel finale rilassato e drammaticamente estatico, finale in cui sale alla ribalta l’ottimo guitar work di Davide: pochi fronzoli eppure grande ispirazione al servizio della canzone.

La doppietta composta da “Left Frontal Lobe”e “Dr John Martyn Harlow” si regge invece  su giri di chitarra massicci e rallentati, resi ancor più cupi, malati ed ossessivi da suoni volutamente ovattati. Da segnalare, sulla prima, un’altra fuga di chitarra solista davvero degna di nota. Segue “Pulse 60, and Regular”, di nuovo pinkfloydiana nell’innesto di rifiniture sintetiche/elettroniche, quanto tra le più movimentate sul versante dei cambi di ritmo e d’umore, mentre il finale di album è riservato a “Ptosis”, quasi sei minuti di drone doom metal talmente teso e asfissiante da diventare quasi snervante, e all’ambiziosa “Lone Mountain”, a metà strada tra Isis e Cult Of Luna.

Disco non facile, come sottolineato in apertura, eppure non privo di buoni spunti. Da un lato l’aggiunta di una voce renderebbe il tutto più fruibile (anche se per gli appassionati più duri e puri del genere questo è certamente un non-problema) e dall’altro, insistere ulteriormente sull’innesto di effetti elettronici renderebbe la proposta degli Aidan ancora più personale, tuttavia allo stato attuale ci troviamo già di fronte ad una buona base di partenza. Il miglior augurio che possiamo far loro è di riuscire, prendendo le mosse da queste buone basi, a raffinare e personalizzare ulteriormente il loro già notevole sound. 

Stefano Burini

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