Recensione: The Relegation
Formatisi nell’ormai lontano 2003, i Martyred giungono solo ora a pubblicare il primo full-length: “The Relegation”.
Un lasso di tempo, comunque contraddistinto da una discreta dose di uscite autoprodotte, che è servito ai singoli membri di accumulare esperienza in altri act ma soprattutto di mettere bene a fuoco il sound della band, già sviluppatosi sufficientemente in occasione delle lavorazioni dell’ultimo EP, “Dawn of Terror” (2018).
Sound orientato verso il brutal death metal ma… non troppo. Seppure rispondente ai dettami fondamentali del genere, detto sound evita di sondare i lembi più estremi della tortura sonora. Mantenendo, così, alcuni elementi del death classico (‘Shadows of Deception’) ma non solo: thrash (‘Carnage Incarnate’) e, addirittura, heavy (‘Sadist Globe’), sono pennellate che qua e là colorano il disco. Evitando che esso finisca nel calderone dei progetti tutti uguali fra loro che, purtroppo, infestano il brutal.
I Martyred hanno quindi cercato una strada da percorrere tutta loro, riuscendoci solo in parte, però, poiché, malgrado quanto più accennato, il loro stile non riesce a svettare del tutto dalla marea nera del metallo della morte. Certo, qualche elemento distintivo c’è, tuttavia si riesce a fare l’orecchio all’LP solo dopo numerosi ascolti giacché, come impatto, si ha la sensazione di avere a che fare con qualcosa di trito e ritrito.
Cosa che non è.
Il riffing, anzitutto, si basa su solidissimi accordi stoppati e distorti dalla tecnica del palm-muting applicata al metal. Il che si diversifica dalle solite zanzariere. Anzi, il muro di suono elevato dai due chitarristi Mike DeBord e Jason Frankhouser è solido e impattante come il granito (‘Relegation’). Forza erculea ma anche qualche assolo addirittura melodico (‘Iniquitous Transformation’) contraddistinguono un lavoro incessante, preciso e, a tratti, complesso.
Anche Krieg Penny svolge il suo compito con seriosa professionalità, preferendo un growling se si può dire leggero, venato di un tocco di inhale, la cui principale caratteristica è quella di abbracciare un tono stentoreo à la Vader che alimenta, e non poco, l’energia sprigionata dall’attacco frontale del combo texano. Linee vocali che peraltro si sovrappongono a tratti (‘Divine Pestilence’), movimentando con efficacia l’incedere delle lyrics.
Allineati fedelmente alla foggia musicale, invece, basso e batteria. Rene Martinez propone un drumming assolutamente devastante, pesante, complicato, sebbene il focus sia la produzione a grande scala di blast-beats presenti ovunque, quasi in maniera ossessiva. Stephen Fernandez, da par suo, manovra il suo strumento con estrema perizia, andando a inspessire il sound con mestiere, legando il sound alla perfezione senza farsi quasi notare.
I brani sono sviluppati con sufficiente personalità e rigore, identificando un insieme compatto, coeso, senza che si possano notare cali di tensione. Non si tratta di un songwriting eccelso, dato atto che manca quel quid in più in grado di estrarne qualcuno di notevole, che buchi l’etere. Il malloppo è estremamente pesante, insomma, ma anche un po’ troppo uniforme. Il che, alla fine, può generare il rischio di inciampare nella noia.
I Martyred si manifestano indubbiamente bravi nella tecnica esecutiva e nella messa a punto di uno stile tutto loro, ma anche difettosi nella parte meramente artistica, ove tendono a essere scolastici.
Per tutto ciò, in conclusione, “The Relegation” è un opera che può essere fruibile solo dai fan del (non troppo) brutal death metal. Gli altri, lascino pure perdere.
Daniele “dani66” D’Adamo