Recensione: The Repentless Killogy
Ci siamo quasi. Quanto annunciato a gennaio dello scorso anno sta per compiersi. Gli Slayer si ritireranno dalle scene (o, perlomeno, così hanno detto) al termine del ‘Final World Tour’.
La loro carriera ha avuto inizio nel lontano 1981, in quel di Los Angeles, e in questi trentotto anni hanno inciso dodici album da studio (contando ‘Undisputed Attitude’, che è essenzialmente una raccolta di reinterpretazioni di brani di altri artisti) oltre a singoli, EP, live e raccolte, e tenuto centinaia di concerti, per cui cosa c’è di meglio per celebrare questa loro incredibile storia se non un film che ne incarna la loro vera e violenta essenza?
‘The Repentless Killogy’, questo è il titolo, sarà proiettato in tutto il mondo per una sola volta il 6 novembre 2019. Poi, dall’8 novembre, sarà reso disponibile in formato digitale e DVD Blu-Ray attraverso la label Nuclear Blast.
La pellicola è divisa in due parti: la prima si apre con i video di ‘You Against You’, ‘Repentless’ e ‘Pride In Prejudice’ (tutti brani inseriti, dal più violento quartetto d’America, nel loro ultimo album) che introducono la storia del protagonista Waytt, un ex neonazista legato alla gang ‘The Hand Brotherhood’, che si fa riconoscere da un’impronta insanguinata lasciata dopo ogni omicidio.
Al film hanno partecipato attori come Jason Trost, che impersona Wyatt, Danny Trejo, Richard Speight, Derek Mears, Jessica Pimentel, Tyler Mane e molti altri.
La seconda parte del lungometraggio è l’intero concerto che gli Slayer hanno tenuto al Los Angeles Forum il 5 agosto 2017 e che è stato diretto da Wayne Isham, che aveva già collaborato, tra gli altri, con Metallica e Foo Fighters.
Il solo concerto sarà distribuito, sempre a partire dall’8 novembre, dalla Nuclear Blast, in formato doppio CD, vinile e digitale, ed è questo che andiamo a recensire.
L’album è una bomba ad alta detonazione e ad ampio raggio distruttivo, un assalto frontale all’arma bianca che porta all’inevitabile massacro. E’ violenza pura tradotta in musica; prendendo in prestito le parole di un mio collega di redazione ‘stacca le ragnatele dai muri’ (ciao Gian!).
E’ la riproduzione di un concerto cento per cento Slayer: concreto, sintetico, dinamico ma senza orpelli. I brani si susseguono l’uno dopo l’altro senza sosta, con solo un paio di pause di circa due minuti, due minuti e mezzo dopo ‘Hate Worldwide’ e ‘Hallowed Point’ per far salire il calore del pubblico, ringraziare ed annunciare il prossimo brano. Nient’altro.
Le tracce sono eseguite rigorosamente come incise sugli album di appartenenza, non vengono variate, allungate, accorciate o modificate per stupire il pubblico o per dare la sensazione di esclusivo (senza alcuna polemica per i gruppi che invece lo fanno, s’intende!). Non ci sono momenti d’enfasi dove far cantare il pubblico: non servono, i fan degli Slayer lo fanno dall’inizio dello spettacolo fino alla fine, senza alcun bisogno di essere incitati.
La tracklist ripercorre grosso modo tutta la carriera del combo, con l’esclusione dei brani tratti dai platters ‘Divine Intervention’ del 1994, il già citato ‘Undisputed Attitude’ del 1996, ‘Diabolus in musica’ del 1998, l’album più controverso della loro discografia e ‘Christ Illusion’ del 2006.
Viene data la giusta importanza a ‘Repentless’, il loro ultimo album pubblicato nel 2015 e l’unico senza il co-fondatore Jeff Hanneman, purtroppo mancato nel 2013 a causa di una cirrosi epatica che gli ha disintegrato il fegato, contratta per il troppo e morboso abuso di alcool (E’ una maledizione tra le più nere: troppi grandi gruppi arrivati al successo hanno dovuto ‘versare’, presto o tardi, un tributo di sangue perdendo un componente importante in modo orribile: Brian Jones dei Rolling Stones, Keith Moon degli Who, Phil Lynott dei Thin Lizzy, John Bonham dei Led Zeppelin, Bon Scott degli AC/DC, Cliff Burton dei Metallica, tutti i fondatori dei Ramones, Randy Rhoads, Paul Baloff e Chuck Schuldiner …).
Il posto di Jeff è stato preso da Gary Holt, ascia degli Exodus fin dagli esordi con i quali ha inciso, tra gli altri, ‘Bonded by Blood’, un’altra pietra miliare della musica estrema. Gary è entrato negli Slayer per dare una mano, per sopperire alla grave perdita, ma poi è stato assunto in pianta stabile diventando, a tutti gli effetti, parte della famiglia.
Il concerto si apre dunque con ‘Delusions of Saviour’, intro di ‘Repentless’, seguita immediatamente dalla stessa Title-Track. Durante la performance l’ultimo album della carriera degli ‘uccisori’ viene ricordato anche con la potentissima ‘When the Stillness Comes’, ‘You Against You’ e la cadenzata ‘Cast the First Stone’.
Il lavoro d’esordio, il mitico ‘Show No Mercy’, è rappresentato ‘solamente’ da ‘The Antichrist’, un classico tra i classici, l’anello che congiunge l’Heavy Metal con il Thrash, da affiancare, per importanza, alle storiche ‘Running Free’, ‘Breaking the Law’, ‘Creeping Death’ ed a tutti quei pezzi ormai dichiarati intramontabili.
Anche ‘Hell Awaits’, il secondo album che ha conclamato gli Slayer come una band unica, fenomenale e fondamentale, è stato onorato con la sua sola Title-Track, mentre il capolavoro immenso ‘Reign in Blood’, il disco che ha espresso un nuovo concetto di velocità e violenza musicale (se Han Solo avesse usato ‘Reign in Blood’ invece del Coassio per alimentare il Millennium Falcon avrebbe percorso la rotta di Kessel in molto meno di dodici parsec …) viene impresso nella memoria con ‘Postmortem’, ‘Raining Blood’ e ‘Angel of Death’, quest’ultima, che aveva suscitato all’epoca tante polemiche sulla vena politica della band perché narrava la storia del tremendo assassino Josef Mengele, è stata posta a fondo scaletta per dare la grande botta finale.
Altri due brani ricordano l’importante ‘South of Heaven’, il Full-Length che ha avuto il difficile compito di seguire ‘Reign in Blood’. La concretezza degli Slayer qui si vide tutta: non un facile clone del terzo album, ma un lavoro diverso, dove ferocia e rabbia sono stati esaltati basandosi su tempi più lenti, anche se sempre molto muscolari, ed attraverso l’introduzione di brevi linee melodiche. A parere del sottoscritto un grande album!!!
Al Los Angeles Forum sono state suonate ‘Mandatory Suicide’ e ‘South of Heaven’, con il suo attacco che sembra spalancare le porte dell’inferno.
Più spazio viene dato a ‘Seasons in the Abyss’, con ben cinque pezzi: l’immortale ‘War Ensemble’, ‘Hallowed Point’, l’acclamata ‘Dead Skin Mask’, ‘Born of Fire’ e ‘Seasons in the Abyss’.
Arriviamo ai tempi più recenti: da ‘God Hates Us All’ sono estratte ‘Disciple’ e ‘Bloodline’, mentre da ‘World Painted Blood’ è stata estratta solo ‘Hate Worldwide’.
C’è anche il tempo per ricordare quel gioiellino di ‘Haunting the Chapel’ del 1984, uno dei più importanti EP della storia del Thrash: il penultimo pezzo della scaletta è ‘Chemical Warfare’, che manda il pubblico in delirio.
La formazione, oltre al già citato Gary Holt, vede il secondo co-fondatore Kerry King, che ha compensato la perdita di capelli con una barba alla Noè, Tom Araya e l’Ex Forbidden Paul Bostaph, che, nel corso degli anni, si è alternato alla batteria con il grande Dave Lombardo (Paul, con gli Slayer, ha inciso ben cinque album, poco meno della metà della discografia totale), senza mai farne rimpiangere la mancanza.
Non c’è altro da dire: non potrei parlare male di ‘The Repentless Killogy’ neanche se, massacrato di botte dai quattro artisti, volessi vendicarmi di loro.
Molti gruppi hanno dato addio alle scene, chi dichiarando che non avrebbe più registrato, chi che non avrebbe fatto più tour e così via, per poi tornare sui propri passi e riprendere. Gli Slayer si sono sempre contraddistinti per la loro concretezza, sono tra coloro che si sono schierati in prima linea per non far morire il Thrash durante il periodo del Grunge e dell’Alternative, non schiodando dagli spartiti una sola nota del loro feroce e violento sound, rimanendo fedeli a quello in cui credevano fregandosene alla grande delle spietate leggi di mercato, per cui non c’è niente che faccia pensare che cambino idea.
Speriamo che, per una volta, tornino sui loro passi … chissà! Quello che è vero è che il Thrash ha ancora bisogno di loro.
Finiamo salutando Jeff: sei stato un grande. See You in Hell …