Recensione: The Return…
“L’album più malvagio della storia della musica”.
Così nel 1985 i pochi e impauriti recensori che si affacciavano all’alba del Black Metal moderno accolsero questa nera perla di follia scaturita dalle mani di Quorthon. E come non dargliene atto – è il momento di portare alla luce quell’album che ha contribuito a creare la storia del Black Metal propriamente detto: un orrendo e crudele tributo alle forze oscure di Satana, alla tremenda e disarticolata vena di malignità che serpeggia tra i solchi impolverati di questo vinile la cui terribile copertina sarà di ispirazione alle future generazioni del Black scandinavo, fino al grande tributo di Panzerfaust – la stessa luna infatti occhieggia terribile nell’oscurità di una notte solcata da abeti neri come il vuoto infernale e nubi striate di un bianco argenteo e malato. Per quanto romantico e maledetto, in realtà il caso che portò alla scelta della luna fu del tutto arbitrario: al momento della scelta della copertina sui cieli della Svezia si presentò una pioggia di meteoriti che illuminarono il cielo in forma di tenui stelle cadenti. Di fronte a tale spettacolo della natura, il padrone della sala di registrazione uscì per strada con la macchina fotografica allo scopo di immortalare un’immagine adatta, ma alla fine l’unica foto che venne bene fu proprio la foto di quella luna, la quale venne quindi scelta come stendardo per l’eruzione di malignità scatenata in questo secondo full-length. Quorthon era giovane e intelligentemente ribelle, e scrollandosi di dosso tutta la pesante tradizione musicale dei primi anni ’80 che l’avrebbe voluto veder omaggiare ben altri generi musicali, iniziò a tracciare i solchi del vero black metal – non quell’abbozzo creato in Scandinavian Metal Attack sotto lo pseudonimo di Ace, e non quella mistura tremolante di thrash satanico di Bathory. Tutt’altro. “The Return of the Darkness and Evil” segna il vero ritorno dell’Oscurità e del Male come due entità pragmaticamente indissolubili, come un cancro che dilania le carni e lacera la luce, distruggendo il tessuto primordiale della vita stessa. Siamo di fronte al vagito più imperioso del Black moderno, che tenta di liberarsi dagli stereotipi oppressivi dei Venom e raccoglie eredità brutali cruciali come quelle di Sodom, Kreator e perché no, anche Possessed e Destruction.
Raccolte informazioni preziose, al lacerante urlo introduttivo di “Born for Burning” Quorthon inabissa il suo microfono nei vortici tormentati dell’inferno, ricavando la terrificante intro “Revelation of Doom“, un incipit che avrebbe fatto tremare persino Dante nella sua discesa “Divina”. Tutto ciò che dimostra l’orrore della mente umana e di ciò che sa creare viene rigurgitato nell’inanellarsi di una traccia dietro l’altra; e mentre nella sopracitata “Born for Burning” viene denunciato il martirio di una strega nel paese olandese di Schoonhoven nel 1591, in Total Destruction Quorthon affronta il tema maniacale degli orrori della guerra nucleare. Molte leggende ruotano attorno a quest’album. Forse non tutti sanno che in principio The Return… venne pubblicato – chiaramente – solamente in vinile. Quorthon volle che venisse scambiato per il prodotto più oscuro della terra, per cui nemmeno il titolo fu pubblicato nella sua interezza. Qualora un fan si fosse trovato il disco tra le mani, girandolo non avrebbe trovato nemmeno la tracklist, ma una poesia maledetta che avrebbe reso il tutto ancora più misterioso.
Solo recitando…
“When the sacred oath is broken
and the lie is spoken out loud
when the angel is POSSESSED
and the virgin is stolen her pride
When the flame of love and pureness
have turned to BESTIAL LUST
when the walls of gold in heaven
close in and turn to dust
When THE WIND OF MAYHEM whispers
through the vale of tears and death
when the gold river is empty
and the SADIST tear the angels flesh
When the SON OF THE DAMNED strides the earth
and THE RITE OF DARKNESS is done
when the REVELATION OF DOOM comes closer
and the battle just begun
When the beauty is BORN FOR BURNING
and the TOTAL DESTRUCTION draws near
when the disciples under the sign of the black mark gathers
and the REAP OF EVIL is here
Then the clouds of death shall gather
then the night shall always burn
then the ancient prediction comes true
and the bells of fate chaime
THE RETURN…“
…ci si sarebbe accorti di avere tra le mani un infernale tomo religioso, piuttosto che un semplice disco. Ed eppure in questo caso il povero acquirente del 1985 non avrebbe mai saputo il titolo completo dell’album, recepibile solamente come testo all’interno della penultima traccia, “The Return..” appunto. Purtroppo nell’edizione su CD che seguì diversi anni dopo il poema andò perduto, e la penultima traccia apparve con il titolo completo, distruggendo così quell’aura mistica che Quorthon aveva saputo creare con i suoi mezzi. Come suo grande classico, sul vinile non era possibile in alcun modo estrapolare i titoli delle singole canzoni, giacché non solo Quorthon era solito pubblicare le tracklist in ordine alfabetico, ma in questo caso addirittura le pubblicò in maniera del tutto casuale. Le versioni su CD vennero dapprima goffamente realizzate con la tracklist in ordine alfabetico e solo in seguito si passò all’ordine definitivo, per cui solo ultimamente si sa effettivamente a quale titolo corrisponda una determinata canzone, anche se l’outro (altro grande marchio di fabbrica di casa Bathory) rimane ancora al di fuori di ogni catalogazione. Ovviamente in principio la traccia di The Return… doveva contenere tale poema recitato in voce arcana e demoniaca, ma in quanto intro di una canzone tanto in là nell’album sembrò decisamente fuori luogo e non venne più inserito.
Il sound – specialmente rispetto a quello di Bathory – è decisamente migliorato grazie anche a uno studio di registrazione più attrezzato, ma la conclusione fu quantomai affrettata: pare infatti che un membro della Typhoon (ex – Black Mark) si precipitò nello studio di registrazione e pregò Quorthon di terminare l’album quanto prima, perché le prenotazioni da parte dei fans avevano già sforato le 10.000 copie – un quantitativo impensabile per una band esordiente come quella. Dopo pochi giorni le vendite sfondarono il tetto delle 25.000 copie, facendo esplodere quindi i Bathory nell’universo di quel genere a quel tempo ancora confuso con il Death Metal, visto che non c’erano altre band a cui fare riferimento. Si dice inoltre che gli Elektra studios vennero utilizzati solo in parte per registrare l’album, giacché a un certo punto Quorthon sentì mancare qualcosa nello spirito dell’album e tornò agli Heavenshore Studios – esattamente, il garage pieno di ghiaia – per sentirsi più “a casa propria”. Nell’impossibilità di trovare un bassista si ridusse a suonare il basso da solo, facendosi prestare peraltro lo strumento dal batterista. I temi, particolarmente in “Reap of Evil“, “Son of the Damned” e “Possessed” si immergono nelle immagini terrorizzanti dei serial killer e della guerra psicologica, un tipo di tema riesumato nel trascurabile Octagon solo molti anni dopo. Chiaramente il fulcro centrale e atmosfera generica dell’album rimane comunque l’aberrazione spirituale del cristianesimo e delle religioni in genere, tema caro a un personaggio come Quorthon che si è sempre dichiarato “un pezzo di carne privo d’anima” – anche se ascoltando album come Hammerheart o Twilight of the Gods risulta davvero difficile crederlo – o forse estremamente facile, dipende dai punti di vista.
Musicalmente chiaramente c’è poco da dire – The Return… è un tormento primordiale di un black ancora non definito nel classico stile Norvegese che verrà, e quindi ancora gran mix di death, thrash e soprattutto di scream maligno e disarticolato di Quorthon, la cui voce è ormai tra le più riconoscibili dell’intero panorama. Nasale, stonata, eppure magica, in grado di trasmettere disagio di vivere e terrore dietro ogni ombra. Tutto l’album è un intero highlight, ma come non soffermarsi sulla temibile “The Return of Darkness and Evil“, flagship conclusiva dotata di un tumultuoso incalzare di percussioni e un’anomala parentesi melodica che può far percepire quella scintilla che avrebbe generato le primissime tracce non tanto di Under the Sign of the Black Mark, ma addirittura di Blood Fire Death. Un urlo femminile, piccolo vezzo di un album inquadrato fermamente in binari estremamente rigidi, squarcia l’aria mentre la canzone scema in un tremendo assolo dall’innegabile gusto Venomiano che non fa altro che portare alla straziante outro. Diciotto secondi in cui si odono sei battute di timpano e un semplice verso gutturale – ma una firma che porta l’improponibile peso di album come Hammerheart, Blood Fire Death, Requiem, fino all’ultimo grande lavoro Nordland II – in cui appare più spossata del normale, come in previsione di ciò che sarebbe avvenuto l’anno a seguire. Violento nel suo incedere, l’album non lascia respiro tra le urla indemoniate di “Bestial Lust” e la complicata espressione satanica di “Total Destruction“, vero anatema che ben dispiegherà le forze in gioco in questo piccolo, grande album. Il suo impatto storico è assolutamente monumentale, e al pari di Blood Fire Death, si sente il respiro di ciò che avverrà nella scena Black mondiale – ancor più che in Bathory e in Under the Sign. La produzione grezza e ovattata, le chitarre lancinanti, l’impeto grottesco del basso rendono l’album un piacere da scoprire anche a venti anni di distanza, inossidabile contro il tempo che scorre inesorabile.
La disarmante naturalezza con cui Quorthon raccontò gli aneddoti che ruotano attorno a ognuno dei suoi CD, che lui prese come “cibo per il suo tempo” e che noi fans prendiamo come veri e propri monumenti alla grandezza semplice di un uomo solo, lasciano solo amarezza per la perdita di un artista così unico, la cui leggenda fu costruita da chi lo voleva grande a tutti i costi piuttosto che da chi voleva rimanere piccolo nonostante tutto.
Tracklist:
- Revelation Of Doom
- Total Destruction
- Born For Burning
- The Wind Of Mayhem
- Bestial Lust
- Possessed
- The Rite Of Darkness
- Reap Of Evil
- Son Of The Damned
- Sadist
- The Return Of Darkness And Evil