Recensione: The Return to Nothing
Nuovo capitolo per Sami Rautio e per i suoi My Shameful,
diventati per l’occasione una vera e propria band di quattro elementi. A due
anni di distanza da
…of Dust
i finlandesi ritornano con la solita lenta marcia funeral doom, il tutto secondo
una ricetta ben collaudata ma che anche questa volta, a mio avviso, non riesce a
“far male” a dovere.
I canoni del genere sono tutti rispettati, ritmi ovviamente dilatati e
rarefatti, chitarre profonde, marziali e soffocanti, alternanza tra growl e voce
sussurrata, classici richiami ai My Dying Bride, minutaggio del lavoro
corposo, batteria minimale, ecc… tutto secondo la migliore tradizione doom.
Però The Return to Nothing non lavora ai fianchi l’ascoltatore,
non graffia, non atterrisce, non ti blocca sulla poltrona con aperture
raggelanti e inimmaginabili, tutto scorre via sin troppo leggermente, senza
sussulti. A ben vedere la musica dei My Shameful è tutt’altro che
rasserenante, ma per disturbare seriamente il sistema nervoso di chi si accinge
ad ascoltare questa musica serve ben altro, servono maggiori idee, maggiori
variazioni, più feeling e più atmosfere strazianti.
La ripetitività è un prezzo che qualunque amante del doom più esasperato è
ben felice di dover pagare, sapendo che prima o poi arriverà il passaggio chiave
del brano, dove tutto quello che si è ascoltato acquisisce un senso ben preciso,
e dove la monotonia di interminabili minuti diventa essenziale e vitale. A mio
avviso in The Return to Nothing il momento chiave non arriva mai,
si assiste al lento svolgimento del disco in perenne attesa (puntualmente
inevasa) di qualcosa che riesca a dare maggiore spessore al brano. Invece sin
dall’opener This Same Grey Light si intuisce che il vortice oscuro del
funeral doom viene solo esplorato in superficie, ci viene mostrata la soglia
senza accompagnarci dove l’aria diventa realmente malsana e irrespirabile.
Non un disco da buttare via sia chiaro, le conclusive Silent e Just
One (Return è solo una breve outro) risollevano le sorti di un lavoro
fin troppo semplice, schematizzato e lineare. Un disco che gioca su livelli di
estremismo troppo poco esasperati per i miei gusti, a partire dalla produzione,
fin troppo pulita a discapito della necessaria profondità del suono, e dai
vocalizzi Rautio, che spaventerebbero solo i neofiti del genere.
Sicuramente i meno intransigenti troveranno un disco più che dignitoso, ma per
quanto mi riguarda poco incisivo. Lontanissimo dalla pura desolazione dei
compagni di label
Tyranny,
dalla “calma” disturbante degli Until Death Overtakes Me, dalla classe
degli ultimi
Doom:Vs,
ecc… Mi fermo qui, ma la lista potrebbe continuare per diverse righe…
Stefano Risso
Tracklist: