Recensione: The Rise of the Blind Ones
Dopo due anni dall’EP “Caro Data Vermibus”, tornano in pista gli spagnoli Come Back From The Dead con il loro secondo full-length, “The Rise of the Blind Ones”.
Fautori di uno stile che abbraccia l’old school death metal con venature dark, senza tuttavia esserne completamente inglobato, i Nostri provano a dare uno scrollone alla solita zuppa che propongono centinaia di band sparse per il Mondo e cioè alla mera riproposizione degli stilemi di base dello swedish death metal della prima metà degli anni ’90 che, appunto, oggi si identifica nella vecchia scuola.
Certamente i richiami a quei tempi ci sono e sono perfettamente percepibili, tuttavia i cinque ragazzi di A Coruña s’impegnano a dare al proprio sound qualcosa di personale, di diverso dagli abusati cliché, almeno a parere di chi scrive. Soprattutto rinvenibili, come accennato, a un mood oscuro, a tratti buio e desolante (‘Nebulaes of Malevolent Shining’).
L’operazione riesce ma per metà, nel senso che osservando “The Rise of the Blind Ones” nella sua interezza, nella sua globalità, non emergono poi molti spunti se non innovativi, almeno originali.
A dire il vero qualcosa di davvero buono c’è, ed è rinvenibile nell’interpretazione vocale di Paul, bravo a interpretare le linee di competenza con un piglio assai aggressivo senza scivolare in tipologie canore che ne minino la singolarità alla base. Lontano da growling, screaming e via dicendo, Paul urla la sua rabbia con tono aspro, acre, grezzo ma non troppo; lasciando peraltro intendere perfettamente i temi trattati dai Nostri. Tono stentoreo emesso a pieni polmoni e ugola rifinita con la carta di vetro a grana grossa sono i segni caratteristici di un modo di cantare, in questo caso sì, unico e riconoscibile con facilità in mezzo a tanti altri.
Pure il resto della band mostra di saperci fare, con i propri strumenti, dando vita a un sound dal taglio professionale, per nulla acerbo o in via di completamento. Il disco suona in maniera adulta, senza indecisioni sulla strada intrapresa. La coppia di chitarre (Hector e Miguel) svolge il suo compito con regolarità, sciorinando una gran varietà di riff a sostegno di un wall of sound niente male, in termini di impatto sonoro. Stranamente un po’ sottotono la sezione ritmica, cui manca qualche cavallo, pardon watt di potenza per allinearsi anzi omogeneizzarsi al lavoro di Paul, Hector e Miguel. Certo, non mancano le accelerazioni dei blast-beats, però inserite in un drumming (Marcos) non particolarmente devastante come dovrebbe essere. Il basso di Iago sostiene le battute rombando in sottofondo lasciando, questa volta sì, un vago sapore di amaro in bocca sia per una certa sensazione di caos, sia per un groove che non offre nulla di quanto già ascoltato in passato.
Non male le canzoni, perlomeno nella loro visione globale, giacché non mostrano cali di tensione in un complesso ben equilibrato ma, anzitutto, sempre coerente con lo stile della formazione iberica. Purtroppo (per loro), i Come Back From The Dead paiono essere privi di una capacità compositiva che vada oltre la media, mancando, fra l’altro, il famoso quid in più in grado di far risplendere – per modo di dire – , un insieme sostanzialmente monocorde, da cui non emerge qualcosa di davvero interessante e degno di essere ricordato come elemento di spicco di un album sicuramente ricco di passione e voglia di fare ma, alla fine dei conti, incapace di far scoccare la scintilla nella mente degli appassionati del death metal.
Solo per collezionisti e/o super-fan del death metal.
Daniele “dani66” D’Adamo