Recensione: The Road To Hell
Gli appassionati tutti dell’hard rock melodico e dell’AOR condividono, certamente, una rilevante ed incrollabile stima nei confronti di Joe Lynn Turner, uno dei più dotati e longevi vocalist operanti nell’ambito di tali generi musicali.
Il momento di massima gloria di JLT è stato, indubbiamente, la sua militanza nei Rainbow di Ritchie Blackmore durante la loro fase più ”americana” e melodica. Con l’ ”arcobaleno”, infatti, il cantante sbancò le classifiche a partire da ”Difficult To Cure” in poi.
Turner, però, aveva già iniziato la sua carriera con i Fandango (la cui discografia è stata, tra l’altro, di recente ristampata in cofanetto), ed ha poi realizzato anche almeno una perla in qualità di solista, quel ”Rescue You” del 1985 che è tra i classici di culto dell’AOR (ma anche ”Second Hand Life” del 2007 è da tenere ben custodito nella propria discoteca). A costo di attirarsi gli strali dei fans del ”profondo porpora”, il vostro recensore, poi, in controtendenza con la maggior parte della critica e del pubblico, non disdegna affetto anche quel ”Slaves And Masters” che aveva visto JLT nel 1990 dietro il microfono di tali Deep Purple, all’epoca in lite con Ian Gillan (semplicemente, quel disco sarebbe stato meno sottovalutato se fosse stato pubblicato con un altro monicker).
Tra le tante altre collaborazioni di Joe Lynn Turner (da ricordare anche quella con l’axeman Yngwie Malmsteen e il project con Glenn Hughes), un altro posto di primo piano deve godere l’attività – sotto l’egida della Frontiers Music, con il nome d’arte di Sunstorm.
Dall‘omonimo platter d’esordio del 2006 a “Edge Of Tomorrow”, di dieci anni più vecchio, i Sunstorm sono passati da un suono più vicino all’AOR ad una linea un tantino più dura benché sempre in grado di esaltare la capacità del vocalist di disegnare potenti quanto ariose linee melodiche.
Su quest’ultima scia si colloca anche il nuovissimo “The Road To Hell”, in cui l’artista è accompagnato da una band costituita da fior di strumentisti tutti italiani, tra i quali Alessandro Del Vecchio (Hardline, tra gli altri), che produce e suona le tastiere, e Simone Mularoni (DGM), alle prese con le chitarre.
A dimostrazione della conferma della cifra stilistica del disco precedente ecco arrivare brani come Blind The Sky (nella quale riff circolari di tastiere e chitarre delineano un hard rock melodico dal gran tiro e corroborato da pregevoli assoli di chitarra nella parte finale), My Eyes On You (ancora hard rock melodico qui con connotazione più epiche e ben tratteggiato anche dai riff dei tasti d’avorio), Future To Come (con una partenza alla Asia che prelude ad un MHR con atmosfere più epiche e – anche qui – un ottimo lavoro di Simone Mularoni alla sei-corde) e, infine, Still Fighting (un class rock carico di straripante energia).
Resurrection è ancora un heavy rock trascinante, ma qui un organo molto vintage conferisce alla canzone un tono memore dei più classici Deep Purple. Ancora, The Road To Hell esibisce tastiere sinuose e misteriose per un uptempo grintoso ma sempre ad alto tasso di melodia.
I fasti del migliore Adult Oriented Rock sono, invece, evocati da canzoni come Only The Good Will Survive, Calling e On The Edge, incalzanti e dalle arie in stile Journey, nelle quali il canto di JLT appare quantomai in gran forma. Qui i Sunstorm appaiono, in qualche modo, seguire il solco stilistico dei recenti Revolution Saints (altro progetto di casa Frontiers).
Everywhere occupa la posizione nel disco dell’immancabile power ballad, esibendo uno slow da manuale forse non memorabile nel ritornello ma efficace nel lirico assolo di chitarra ed interpretata con tecnica e feeling di rilievo.
In definitiva, “The Road To Hell” è un album pieno di grinta, interpretato da una voce sempre in grado di districarsi magistralmente in brani più pesanti e tirati quanto in quelli più ariosi; tutti gli strumentisti, poi, offrono un lavoro appassionato e di gran classe, con basso e batteria che tirano che è un piacere mentre le chitarre e le tastiere aggiungono eleganza all’amalgama sonoro complessivo ma contribuiscono anche alla vigoria complessiva del sound. Si registra, forse, una certa omogeneità tra i brani appena un po’ troppo accentuata, ma che non disturba e che, anzi, può rappresentare puro e rassicurante godimento per i fans di Joe Lynn Turner e dei Sunstorm.
Francesco Maraglino