Recensione: The Room
Ascoltare il secondo studio album dei progster libanesi Ostura per il sottoscritto è stata una delle sorprese più gradite di quest’anno. La band dal moniker che significa “leggenda” (e fa il paio con i cugini Myrath, che hanno scelto il vocabolo per “eredità”) è un gruppo di prog. metal sinfonico fondato dal tastierista Danny Bou Maroun e il cantante Elia Monsef nel 2009. Il loro primo disco, “Ashes Of The Reborn”, esce nel 2012, senza riscuotere particolare visibilità. Oggi, a sei anni di distanza, The Room è un’opera che farà la gioia di ogni fan di band come Ayreon, Circus Maximus e Dream Theater.
Il concept narra la storia di una ragazza che non riesce a integrarsi nella società e decide di chiudersi in una stanza. Qui la sua immaginazione la porta a vivere un viaggio di autocoscienza, così profondo che le sue creazioni mentali iniziano a dialogare con la loro ideatrice, facendola crescere a livello umano in un susseguirsi di rivolgimenti emotivi, che toccando tutti gli aspetti del carattere della protagonista. Storia inflazionata, quella della bildung per vie introspettive, ma il tema si attualizza nel momento in cui riguarda una ragazza problematica che oggi definiremmo hikikomori. L’artwork non è particolarmente memorabile, ma guardandolo si capisce subito che stiamo parlando di classico progressive metal e tanto basta per attirare l’attenzione insieme al nutrito cast di ospiti (che include anche un’orchestra sinfonica). Giusto per citarni alcuni, troviamo il cantante Michael Mills (Toehider, Ayreon), il batterista Thomas Lang, il bassista Dan Veall e il mago della chitarra Marco Sfogli (James LaBrie, PFM). Stiamo parlando di una line-up stellare, difficile che simili artisti chiamati in causa possano sbagliare il colpo.
Introduce l’avventura sonora un ansimare, simile a quello di “Cadence Of Her Last Breath” dei Nightwish per intenderci. La protagonista sta correndo a chiudersi nella stanza e la voce di Youmna Jreissati impiega pochi secondi per stregarci e meritare di essere avvicinata all’ugola d’oro di Marcela Bovio. Poi è un susseguirsi di emozioni: metal, strumenti ad arco, pianoforte, intrecci vocali e break fatati. Una title-track che si rivela opener di sicuro impatto, iniziamo a presagire che il disco è sopra la media. “Escape” è una sontuosa composizione con arrangiamenti variegati e sublimi, approccio solistico della 6-corde gustoso (con tanto wah wah) e la voce di Mills su toni altissimi. Con la notevole e oscura “Beyond (The New World)” possiamo farci un’idea di come gli Ostura pensino la forma canzone: il combo del Vicino Oriente sembra comporre brani lunghissimi, che in realtà, però, mediamente durano circa 6 minuti, ma sono ricchi di trovate d’arrangiamento che li rendono longevi all’ascolto. “Let There Be” è il paradiso degli intrecci vocali, pezzo dall’indubbia raffinatezza; più spigolosa “Erosion”, con Elia Monsef sugli scudi in veste di cantante deuteragonista del falsetto sfoggiato da Mills. Gl’inserti di oud suonato dall’ospite Mohannad Nassar danno un tocco di oriente, gli archi si sposano alla perfezione, in un mix est-ovest micidiale, arricchito da ritmiche granitiche. Notevole la parte strumentale al centro di “Only One”, brano che prevede anche un momento a cappella cadenzato degno dei già citati Nightwish e qualche nota djent. Da brividi la breve ballad per voce e pianoforte “Mourning Light”, momenti di poesia allo stato puro. Difficilmente band più note (come i Within Temptation ad esempio) potrebbero far di meglio in 180 secondi.
L’inizio di “Deathless” è cinematico e richiama le sonorità degli Epica in Attacco dei Giganti: da manuale il cambio di atmosfere repentino, gli Ostura dimostrano una chiara determinazione in fase compositiva per la ricerca di epicità ed eclettismo. “Darker Shade of Black” all’inizio del terzo minuto presenta una commistione del miglior sound Blind Guardian e quello targato primi-Opeth. Ritroviamo Mike Mills e anche Arjen Lucassen, che regala un buon assolo. Il finale a più voci, d’altra parte è un chiaro tributo agli Ayreon. Composizione più diretta (e forse la meno riuscita del lotto) “The Surge” (l’esplosione) serve all’interno del concept per portare la storia al suo punto di svolta. Peccato per la sgradevole parte finale con musica elettronica decisamente fuori contesto. Siamo in chiusura, è la volta della mini-suite “Duality”, dodici minuti che condensano il trademark degli Ostura in modo sontuoso e potrebbe essere il cavallo di battaglia in sede live per molti gruppi a corto d’idee. Come coda mesta e bellissima, “Exit the Room?” è un punto interrogativo per pianoforte e violoncello: la protagonista del concept sarà riuscita a riscoprire il senso della propria vita? È la domanda che ogni ascoltatore deve farsi dopo quest’ora di musica che è un inno alla gioia e alla creatività musicale.
In conclusione The Room è un full-length ricco di sfaccettature che regalerà emozioni già dal primo ascolto. Gli Ostura portano avanti il meglio che in passato hanno saputo proporre band sinfoniche come Neverland, Ainur e Fairyland e lo fanno in un modo originale e sicuramente incisivo. Consigliato come regalo per far felici i palati più esigenti.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)