Recensione: The Room Of Shadows

Di Marco Tripodi - 27 Agosto 2017 - 10:00
The Room Of Shadows
Band: Pagan Altar
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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74

Già la N.W.O.B.H.M. è stata relegata a genere di nicchia, una sorta di malinconico e nostalgico rifugio di rockettari stempiati ed attempati che si rifiutano di vivere nel presente, vagheggiando e magnificando i bei tempi che furono (“prima qui era tutta campagna….“). All’interno di quel recinto di animali protetti poi ci sono i Pagan Altar che, tra le tante band appartenute al filone, sono tra quelle che meno hanno raccolto e che sono state ulteriormente trascurate. Parlo del grande pubblico, chiaro che ci siano i cultisti illuminati ed indefessi che si taglierebbero un braccio tanto per la N.W.O.B.H.M. quanto per i Pagan Altar, ma perlopiù oltre Saxon, Diamond Head, Tygers Of Pan Tang ed Angel Witch è difficile che l’interlocutore medio si azzardi a sconfinare. Naturalmente il primigenio metallo anglosassone ha assai più da offire, miriadi di gruppi e di gemme partorite da musicisti che a stento sono arrivati ad incidere qualcosa, sotto forma di album e talvolta anche di semplici demo o singoli. E’ un po’ la storia povera e proletaria della N.W.O.B.H.M.

In parte è anche quella dei Pagan Altar, che all’epoca misero in circolazione unicamente un demo autointitolato di 6 canzoni. Bisogna arrivare al 1998 perché il loro prezioso monicker esca dalle soffitte e dalle leggende metropolitante per incarnarsi in veri e propri dischi. Nell’arco di un decennio scarso il quartetto darà alle stampe quattro album contenenti materiale spesso e volentieri risalente agli anni a cavallo tra la decade dei settanta e quella degli ottanta, tematicamente incentrati sull’occulto, la magia e la stregoneria, elementi distintivi dei Pagan Altar. Il sound della band è un elegante ed inestricabile intreccio di riff N.W.O.B.H.M., ritmi ieratici e riflessivi, sapori celtici, la perfetta sinergia di rock inglese e spiritualità di Stonehenge. L’ascolto dei loro dischi equivale ad una cerimonia druidica presso gli ancestrali e misteriosi menhir; chiudere gli occhi ci proietta automaticamente nel centro nevralgico di un circolo attorno al quale bianche figure incappucciate senza tempo, concitate figure femminili danzanti e strane bestie fantastiche inscenano coreografie all’imbrunire, mentre intorno la civiltà si dissolve. Attimi che appartengono ad un’altra dimensionie, ad una realtà subliminare che estende le percezioni e regala piccoli attimi di eternità.

Questo tipo di scenario risulta ancora più evocativo ed amplificato se rapportato a “The Room Of Shadows“, un album composto da tempo ma rimaneggiato successivamente alla morte di Terry Jones, carismatica ed accorata voce dei Pagan Altar. Scomparso nel 2015 a causa del cancro, Jones aveva fatto in tempo ad incidere le sue parti vocali, ed attorno ad esse la band (nella quale milita anche suo figlio Alan) ha ricostituito l’album ri-registrando parzialmente il necessario. Il risultato finale oggi è un lavoro di più che discreta qualità, assolutamente coerente ed affine con lo spirito e lo stile dei sacerdoti di Brockley (sud di Londra). Ogni sua traccia è una piccola esperienza iniziatica, un viaggio dentro e fuori il nostro Io, un momento di estasi, consapevolezza e onniscenza ascetica. “Rising Of The Dead“, “Danse Macabre“, “The Room Of Shadows” e “The Ripper” sono gli acuti di un album che è fatto di acuti. Il miglior modo per onorare Jones, la sua band, il metal e l’Inghilterra è regalarvi l’ascolto di “The Room Of Shadows“, sarete i primi a trarne arricchimento ed armonia con le leggi dell’energia impalpabile che dall’alba dei tempi sottende la realtà materiale.

Marco Tripodi

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