Recensione: The RPWL Experience
Ormai non possono farci più niente. Come i Marillion di ieri saranno sempre paragonati ai Genesis, come i Tiles di oggi subiranno sempre il confronto con i Rush, così il nome RPWL richiamerà sempre alla memoria quello dei Pink Floyd. Una parentela stretta, un debito innegabile che la stessa band candidamente ammette e che a lungo ha indotto pubblico e critica a relegarla nel ghetto infame dei gruppi clone. Eppure…
Eppure lo status di meri imitatori non può che stare stretto a un combo come quello tedesco. I trascorsi da cover-band pinkfloydiana non hanno potuto oscurare il valore di album come “Stock” e “World Through My Eyes”, naturali sviluppi del peraltro già notevole “God Has Failed”. Non per nulla il talento maggiore degli RPWL è stato, per chi scrive, quello di saper coniugare un’attitudine schiettamente progressive con un flavour per così dire pop (vogliate intendere il termine con la dovuta elasticità), a tutto vantaggio della freschezza e della fruibilità delle singole canzoni.
Canzoni: sembra banale, ma non è da tutti saper scrivere brani complessi ma non dispersivi, orecchiabili ma non banali – canzoni appunto – con la stessa facilità del combo di Monaco. Tale dimestichezza con la melodia è proprio ciò che costituisce il punto di forza di “The RPWL Experience”, al punto da rendere possibile un encomio alla spensieratezza quale la raggiante “This Is Not A Prog Song” (un applauso per il titolo, prego). L’episodio, affatto isolato nella tracklist e fors’anche in un’intera discografia, esalta le virtù espressive della band, che si lascia alle spalle affanni progressivi di sorta per confezionare uno dei pezzi più pregiati – oltre che inattesi – della giornata. Al punto che, quasi a voler riequilibrare i piatti della bilancia, nei brani immediatamente successivi tornano in un solo colpo le liriche impegnate e tutte le evoluzioni strumentali che dalle origini fanno parte del DNA degli RPWL. Senza con ciò rinunciare, naturalmente, a quell’immediatezza comunicativa che incarna tanto i passaggi più densi di una “Stranger” quanto le armonie leggere dell’ottima “Breath In, Breath Out”. Non può essere un caso del resto se uno dei momenti più riusciti (e orecchiabili) della scaletta coincide con l’iniziale “Silenced”, la quale nei suoi dieci primi di estensione non lascia margine nemmeno per un piccolo sbadiglio. Dal canto loro, le influenze pinkfloydiane restano palesi sull’ipnotica “Watch Myself” e perfino negli arrangiamenti psichedelici di “Masters Of War”, cover senza tempo del sempre attuale Bob Dylan. Certo, forse alla sperimentazione in senso stretto sarà lasciato un margine piuttosto ridotto, ma chi non è disposto a chiudere un occhio quando si trova di fronte a canzoni di questo livello?
Nonostante un leggero calo qualitativo nel finale, con una modernista “Choose What You Want To Look At” che concede un po’ troppo ai filtri vocali, “The RPWL Experience” si mantiene dunque in tutto e per tutto all’altezza delle aspettative. Forse gli RPWL non giungeranno mai a interpretare il verbo pinkfloydiano con la maturità artistica dei Porcupine Tree o con la sensibilità espressiva degli Anathema, tuttavia le loro creazioni sapranno ancora una volta dilettare quanti vadano in cerca di un ascolto affabile, relativamente disimpegnato ma pur sempre di classe. Questo è in fondo “The RPWL Experience”: un momento di pacata riflessione in un quotidiano sempre più convulso, massificato e invadente.
Riccardo Angelini
Tracklist:
1. Silenced (9:52)
2. Breathe In, Breathe Out (3:52)
3. Where Can I Go? (7:19)
4. Masters Of War (6:17)
5. This Is Not A Prog Song (5:35)
6. Watch Myself (6:00)
7. Stranger (8:32)
8. River (7:52)
9. Choose What You Want To Look At (5:04)
10. Turn Back The Clock (6:37)