Recensione: The Savage Sword
La No Remorse Records così li definisce:
una formazione in grado di combinare al meglio l’essenza epica del power e dell’heavy metal tradizionale poggiandosi sulla narrativa sword & sorcery e ai temi cari a Robert Ervin Howard legati all’hyborian age. Il loro debutto, The Savage Sword, ricomprende dodici tracce per settanta minuti di cimmerian power metal influenzato da Manowar, Blind Guardian, Hammerfall, Ennio Morricone e Basil Poledouris
Dichiarazioni impegnative, senza dubbio, alle quali deve poi seguire un certo costrutto, però. Affermazioni che l’etichetta greca si può permettere, beninteso, dall’alto della propria esperienza e forte della dedizione che da decenni dispensa nei territori più veracemente HM.
Gli epic metaller oggetto della recensione si chiamano Nemedian Chronicles, prendono vita nel 2017 in Francia, zona di Tolosa e rispondono ai nomi di Alexandre DUFFAU (voce), Guillaume Lefebvre (basso), David Royer (chitarra), Thomas Tesseidre (chitarra) e Guillaume Rodriguez (batteria).
The Savage Sword è album che non lascia trasparire alcun dubbio sul proprio contenuto sin dalla copertina, di chiara ispirazione alla saga di Conan il Barbaro a firma Mario Lopez. Il prodotto No Remorse si accompagna a un booklet di sedici pagine con tutti i testi, le note tecniche di rito e una foto d’insieme della band nelle due centrali.
I francesi iniziano in maniera spudoratamente Blind Guardian sulle note di “Venarium”, che segue l’intro obbligatorio dal titolo “Nemedian Chronicles” e la preparatoria “Born on a Battlefield”. L’ugola di Alexandre DUFFAU – dal cognome curiosamente riportato in caratteri maiuscoli in più parti del libretto – richiama in maniera quella di Hansi Kursch, sebbene il transalpino suoni meno acido del tedesco.
L’irruenza dei teutonici la fa da padrona anche nella successiva “The Thing in The Crypt” mentre, fortunatamente, lungo “Tower of the Elephant” i Nemedians si smarcano leggermente dai Bardi di Krefeld accarezzando soluzioni stentoree di stampo Manowar. Il resto del lotto, seppur in possesso di qualche freccia di stampo sufficientemente originale al proprio arco permane nel solco dei Blind Guardian e, inevitabilmente, così come accade nella stragrande maggioranza dei casi analoghi per altre band, gli originali surclassano coloro i quali si accodano al carrozzone, nella fattispecie i cinque die hard di Tolosa.
The Savage Sword, quindi, si risolve in un lavoro piacevole, stipato di enfasi epica, cori belli carichi e il giusto quid guerresco, ma privo di quel minimo gradiente di magia in grado di far scoccare la scintilla risolutrice, quella che colpisce al cuore e fa scattare l’amore per una band e il tasto “play” per giorni e giorni filati.
Stefano “Steven Rich” Ricetti