Recensione: The Savage Winds of Wisdom
Dalle oscure profondità dell’underground di Melbourne spuntano i Black Lava con il loro secondo full-length, “The Savage Winds of Wisdom”, che segue a distanza di due anni il debutto “Soul Furnace”.
Dagli act australiani è sempre lecito aspettarsi qualcosa che esuli, anche in parte, dalla marea di proposte del Resto del Mondo. L’isolamento, per così dire, degli abitanti del continente australe ha dato vita, nel corso del tempo e nel caso in ispecie, a prodotti artistici a sé stanti. Avulsi, per meglio dire, da ciò che proponevano e propongono i musicisti… normali.
Naturalmente è così anche per i Black Lava, fautori di un death metal piuttosto personale nonché originale; difficile, se non impossibile, da accumunare a qualcos’altro di simile. Quindi, la partenza per trinciare il giudizio di “The Savage Winds of Wisdom” è più che buona. Il che non è roba da tutti i giorni.
Spaventa sin da subito l’interpretazione vocale di Rob Watkins, indefinibile se si vuole incanalarla nei soliti stili se non per un eco lontano di provenienza hardcore. Difatti egli, praticamente, urla le lyric a tutto spiano, con un tono roco che completa una prestazione canora perfetta per lo stile del combo ella terra dei canguri.
Stile sciolto nella costruzione delle varie canzoni, che scorre via con linearità, consistenza e, soprattutto, con un mood che sa di terra umida, marrone, di humus. Esattamente quello che ci si aspetterebbe da un’opera che strisci sottoterra per emergere raramente, quando, cioè, appare un po’ di melodia che la rende per qualche istante accessibile a tutti (‘The Savage Winds to Wisdom’).
Le chitarre lavorano incessantemente con riff dinamici, rapidi e veloci nel cambio di accordi, dando al sound quella scioltezza e naturalità di cui si è più su accennato. Peraltro, anche nei momenti più convulsi, quando si scatena la rabbia incontrollata dei blast-beast (‘Colour of Death’, ‘Wrapped in Filth’), il riffing non perde di potenza e continuità, emergendo sempre dalla potenza erogata dai Nostri nel loro insieme.
E questo concetto di scioltezza e naturalezza nell’elaborazione di un sound potente ma non troppo, giacché perfettamente equilibrato in tutte le sue componenti, è dovuto anche alla sezione ritmica. La batteria di Dan Presland esplora tutti i ritmi possibili, non esagerando nella loro sequenza temporale per non rovinare, appunto, la freschezza che contraddistingue in primis la facciata del combo della Victoria. Nick Rackham svolge con precisione ed efficacia il proprio compito al basso, andando a inspessire un suono che, altrimenti, sarebbe troppo scarno.
Detto questo, non sono certo i leggendari Men At Work ad avere punti in contatto con i Black Lava. Una provocazione, questa, per sottolineare un progetto che fa del death metal… atipico il suo segno particolare. Non mancano neppure inserimenti ambient e strumentali – e addirittura qualche orchestrazione – per aumentare la pressione dell’atmosfera (‘Summoning Shadows’, ‘Sanguis Lupus’), i quali, spesso e volentieri, vengono devastati da fulminei attacchi alla giugulare con la veemenza dei ridetti blast-beast.
Le canzoni seguono fedelmente i canoni imposti dalla band, sono ben strutturate e si susseguono con fluidità. Segno, questo, di una più che sufficiente abilità compositiva. La quale deriva dalla notevole esperienza nel campo dai membri della band stessa. Ma c’è un problema, che è quello che assilla i gruppi di mezzo Mondo: la difficoltà di dare vita a brani facilmente individuabili gli uni dagli altri. Con, magari, quale episodio più riuscito degli altri da ricordare per lungo tempo.
Sfortunatamente, “The Savage Winds of Wisdom” non sfugge da questa trappola, finendo per essere un’opera da assimilare nella sua globalità, cercando di non entrare nel merito dei singoli episodi. In tal modo, si può gustare un qualcosa di diverso dal solito, se ci si focalizza, invece, sui Black Lava nel loro complesso.
Daniele “dani66” D’Adamo