Recensione: The Scepter of the Ancients
Prendete una nazione geograficamente lontanissima dal mercato metal più
ampio: l’Australia. Ora, andate a guardare quell’isoletta a sud del continente,
la Tasmania, e pensate ai trascorsi australiani sul mondo metal: bene, quello
che potreste immaginare non rispecchia assolutamente la realtà.
Gli Psycroptic sono infatti una delle grosse sorprese di questi ultimi
tempi in campo brutal death, con un secondo full-lenght album (dopo un già
ottimo The Isle of Disenchantment del 2001) che fa spalancare gli
occhi a qualsiasi aficionado del genere: un sound ipertecnico, brutale e di
grande impatto, sì, ma anche fantasioso, inventivo, assolutamente personale. Il
loro muro di suono si basa infatti su soluzioni ritmiche del tutto varie, con un
batterista che non ce la fa proprio a mantenere una soluzione stabile per più
di 10 secondi, senza per questo far risultare sconclusionato il risultato
finale; il modello, alla lontana, potrebbero essere i vecchi Cryptopsy,
ma ripeto: ogni paragone è fuorviante, dato che ci troviamo di fronte ad un
gruppo che pesca dalle radici solo quello che gli serve a creare il proprio
stile.
Così rischia di diventare anche superfluo andare a citare i singoli episodi, ma
come non parlare di una opener come The colour of sleep, con i suoi
arrangiamenti complessi, la sua capacità di mantenere un senso di melodia e
“groove” anche su strutture intricate, quasi matematiche?
Caratteristica che per il resto del disco, perarltro, non viene a mancare: solo
varia forma e sfumature, dal main riff di Cruelty Incarnate,
assolutamente geniale, per arrivare ai virtuosismi di Psycrology, un vero
e proprio manifesto filosofico della band.
Vocals che si dividono tra il classico ‘grunting’ brutale ed una timbrica
più urlata, delle chitarre costantemente impazzite e dinamiche nel modo più
assoluto; queste le immediate impressioni che si hanno nell’impatto con i pezzi
di The scepter of the ancients. La fantasia prevale su tutto,
impregnandosi di classicità a tal punto che questo può essere sicuramente
considerato uno dei punti da cui partire per un’evoluzione del genere:
attenzione, non una devianza, ma un naturale e perfetto sviluppo delle sue
caratteristiche fondamentali, l’esempio massimo di ciò che dovremmo aspettarci
dall’ottima scena death metal odierna, ormai senza confini geografici.
La Unique Leader si conferma quindi Re Mida del settore, diffondendo il verbo
di un gruppo così talentuoso: non ancora una pietra miliare, forse, ma a quella
si arriverà presto. Cercateli, è un ordine!
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. The Colour Of Sleep
2. Battling The Misery Of Organon
3. Lacertine Forest
4. Psycrology
5. Skin Coffin
6. Cruelty Incarnate
7. The Valley Of Winds Breath And Dragons Fire
8. A Planetary Discipline
9. The Scepter Of Jaar-Gilon