Recensione: The Sciences
Nei primi anni Novanta in California un gruppo di capelloni sempre stonati dal fumo e dal peyote si riuniva nel mezzo del deserto di notte, portandosi appresso dei generatori elettrici per jammare pesanti riff psichedelici debitori ai Black Sabbath e Blue Cheer. Era nato un genere, lo Stoner, che in realta’ era una rivisitazione parziale di quanto proposto nei primi anni Settanta dalle band di cui sopra, ma con un’attitudine punk e un’ossessività mai sentita prima.
A San José Matt Pike (chitarra) mette insieme un power trio dal nome Sleep e in tempi non sospetti (era il 1991) pubblicano il loro debutto “Volume One”: un concentrato di psichedelia, riff turgidi e sludge che sembrano provenire direttamente dal centro della terra, un magma nero che lentamente corrode le rocce e tutto quello che si trova di fronte. Paragonati all’inizio (secondo me erroneamente) ai signori del Doom, i Saint Vitus, in realta’ gli Sleep proponevano un sound piu’ sabbioso e vicino ai Kyuss ed altre band della zona di Joshua Tree, invece che alla band di Wino e soci. Nel 1992 esce il loro capolavoro indiscusso e forse il motivo per cui gli Sleep sono entrati di diritto nella leggenda del genere, “Sleep’s Holy Mountain”, che è considerato anche oggi come una pietra miliare di un genere poco esposto alle sirene della commercialità, ma che vive del passaparola di una società segreta che si riunisce dopo la mezzanotte e fa friggere le testate Orange inondando l’etere di accordi catramosi e pieni di distorsione fuzz.
Visto il successo underground di “Sleep’s Holy Mountain” la band firma un nuovo contratto con la London Records, la quale gli commissiona il terzo album, “DopeSmoker”. Il disco e’ un viaggio lisergico nei meandri piu’ reconditi della psiche umana, essendo un’unica traccia lunga più di un’ora. La label rifiuta di pubblicarlo decretando la fine prematura della band (il disco venne pubblicato postumo nel 1998 con il nome di “Jerusalem”) e mettendo una pietra tombale sul nome della band, che però negli anni ha acquisito la fama di vera e propria cult band e anche lo stesso “Dopesmoker” viene considerato come un disco seminale per la crescita dello Stoner.
Dopo anni di silenzio ecco che nel 2009 gli Sleep si riformano per una serie di concerti e solo quest’anno, senza nessun preavviso, esce il nuovo “The Sciences”, un asteroide che viaggia tra le varie atmosfere intergalattiche per poi infrangere la barriera del suono e cadere in tutta la sua pesantezza sonora sul vostro salone, sotterrandovi sotto una montagna di allucinazioni psicotrope.
Feedback di chitarra aprono le danze in dissonanza per poi venire lentamente risucchiati dentro il gorgo nero della title track, un intro strumentale che funge da trampolino di lancio per l’esoterica “Marijuanaut’s Theme”, dove si erge la voce ipnotica e mesmerizzante del santone Al Cisneros, che sembra celebrare un’antica liturgia pagana tra fumi di oppio esalati sull’altare del sacrificio.
Ho sempre pensato che ci siano due stati mentali per poter apprezzare gli Sleep: il primo da lucidi e sobri, stato nel quale si può sfiorare dalla superficie la dimensione onirica della band californiana e poi da “fatti” dove appunto si entra in una galassia parallela nella quale rinasciamo dalle ceneri per trasformaci in Araba Fenice inebriati dal profumo acre di zolfo luciferino. L’altro pezzo da novanta del platter è certamente “Sonic Titan”, che come suggerisce il titolo, è un titano dalle sembianze orribili che vi afferra con la sua morsa poderosa la spina dorsale scuotendovi violentemente le vertebre con un mid tempo sabbathiano che sprizza magia nera da tutti i pori; un brano che è già diventato un classico imprescindibile in sede live per il combo capitanato da Pyke.
Jason Roeder (Neurosis) picchia come un fabbro nella possente “Giza Butler” (doveroso tributo al bassista del Sabba Nero) donando forza a un pezzo che trasuda violenza primitiva in ogni accordo, cosi’ come nella ciclopica “The Botanist”, che chiude in maniera egregia un lavoro di ottima fattura, che non sfigura affatto affianco agli altri lavori della band.
Ci sono band che vivono di riflesso nel loro mito e poi ci sono gli Sleep, che ci offrono un’ora di puro delirio sonico che vi farà ululare alla luna piena in preda a convulsioni animalesche e primordiali.
Culto totale!
La copertina della Special Edition