Recensione: The Scroll Of Stone
Mi è molto poco chiaro il processo per cui una pressoché sconosciuta band rumena giunga a firmare un contratto con un’altrettanto sconosciuta label messicana. Fatto sta che i nostri registrano nella primavera del 2002 il loro debut album, del quale si fa licenziataria a settembre 2003 (dopo piu’ di un anno quindi) la Divenia Music.
Non sapendo che tipo di contratto abbiano firmato le due parti, bisogna supporre che si tratti di un accordo di distribuzione, visto che, stando alla qualità della registrazione, questa è rimasta come in origine, molto casereccia e al di sotto degli standard cui i dischi power metal degli ultimi anni ci hanno abituati.
In effetti ho sentito molti demo suonare di gran lunga meglio di questo “The Scroll Of Stone”, e ciò mi lascia ancor più perplesso sulla decisione di un’etichetta di sottoscrivere un disco del genere.
Venendo al dunque, la band si prodiga in un power metal cadenzato, che si lascia andare ai tradizionali up-tempo serrati solo in un paio di occasioni. Questa scelta ritmica, e soprattutto la voce della singer Ana Mladinovici (che insieme al chitarrista Bogdan ‘Bat’ Costea militava negli Interitus Dei, anch’essi sotto Divenia Music!!!), fanno inevitabilmente pensare ai Nightwish per quanto riguarda le influenze del sound dei Magica, mentre le lyrics discendono direttamente dai Rhapsody, essendo l’album un concept incentrato su una storia talmente banale da farmi pensare ad uno scherzo: la principessa Alma, ingannata da un demone, perde la sua anima, e inizia un viaggio alla ricerca dell’unico oggetto che può rompere l’incantesimo: la pergamena di pietra, appunto.
La risibilità dei testi non è purtroppo bilanciata dalla brillantezza del songwriting, che vede dei riff a malapena sopportabili sorreggere delle linee melodiche di una infantilità sorprendente. Ad infarcire il tutto ci si mette, come già detto, un missaggio davvero troppo inesperto, con chitarre impastate e assolutamente poco presenti, un basso timidamente in grado di sottolineare la linea portante e una batteria totalmente priva di potenza. Come se non bastasse, in fase d’arrangiamento si sceglie di usare una voce narrante (alla Rhapsody) che però contribuisce solo a confondere ancora di più l’amalgama fastidioso di suoni con un inglese tendente al rumeno (o viceversa?) praticamente incomprensibile.
Gli innumerevoli errori di editing (imbarazzanti quelli sull’opener “The Wish”) e di esecuzione (soprattutto da parte del chitarrista) mettono la croce su questo platter di cui non si sentiva il bisogno, senza peraltro sciogliere i dubbi paventati ad inizio recensione.
Tracklist:
- The Wish
- A Blood Red Dream
- The Sun is Gone
- The Sorcerer
- Road to the Unknown
- Daca
- Magic
- The silent Forest
- Mountains of Ice
- The Key
- The Scroll of Stone
- Redemption