Recensione: The Second Coming
Nati ufficialmente nel 1983 nel New Jersey, nonostante non abbiano mai raggiunto un buon livello di popolarità, gli Attacker sono da annoverare tra le migliori realtà US power. Autori sul finire degli anni ’80 di due album di culto (“Battle at Helm’s Deep” e il nostro “The Second Coming”), si sciolsero prematuramente proprio l’anno dopo dell’uscita di questo album, a causa di una pessima politica di distribuzione da parte dell’etichetta Mercenary Records, già minata dalla crisi in cui versava in quegli anni la scena metal americana. Tornati recentemente, dopo 16 anni di assenza, con il discreto “Soul Taker”, i nostri sono autori di un US power dalle tinte serrate, con riff taglienti e veloci uniti ad una prestazione vocale eccezionale, tipicamente 80’s.
In effetti la prima cosa che si nota è la spettacolare voce di John Leone innestata su particolari linee vocali, spesso fuori dalle righe, su cui bisogna soffermarsi un attimo. Assai acuta, spesso e volentieri si getta in uno scream di classe forse debitore del migliore Rob Halford. Sembra quasi uscire da sola e senza sforzo dall’ugola d’oro di questo cantante, lanciata su altissime tonalità o in acuti assassini. A mio (e non solo) parere dunque un vocalist fenomenale, superiore al pur ottimo ora redivivo Bob Mitchell (presente sul primo e ultimo platter). Purtroppo, Leone ci ha lasciati (morto per tumore nel 1994) ma è rimasto per sempre nella storia del metal e nei nostri cuori proprio grazie a questo album, ristampato nel 1999 dalla Sentinel Steel (la versione in mio possesso) e arricchito da tre pezzi presi dal demo originale e messi come bonus tracks.
Tornando al contenuto musicale del disco, c’è da dire che quest’ultimo di rivela essere un full lenght assai compatto, un terremoto di rocciosi riffs di tipica scuola americana, poggiati su una batteria incessante, dall’ottimo lavoro di piatti. Ottima dunque la sezione ritmica, anche da parte del bassista Lou Ciarlo capace di sparare letteralmente raffiche di note o vorticose scale. Tutto il lavoro è pervaso da un mood aggressivo, che certamente tiene alto lo stesso nome, appropriatissimo, del gruppo.
Il compito, perfetto, di aprire il disco spetta a “Lords of Thunder”, canzione dal granitico riff iniziale che cede ben presto il passo all’esplosione chitarristica che ci accompagnerà per tutti e 3 i minuti del brano dove inoltre John Leone sfodera già dalle prime battute una serie di acuti impressionanti. Ottimo il solo centrale.
Subito partenza a razzo invece con “Zero Hour”, uno dei pezzi migliori del disco, che ci spara in faccia delle chitarre taglienti e una batteria micidiale, il tutto condito dalla ‘malvagia’ quanto ottima interpretazione di Leone. “Captives of Babylon” invece è un pezzo più atmosferico, ma si inasprisce dopo poco fino a giungere ad un solo quasi malato per poi chiudersi con una efficace frase in acuto. “Octagon” è la strumentale del disco, assai tecnica e naturalmente fedele all’aggressività della band. “The Madness” si mostra come pezzo molto trascinante, con ottimi riffs thrash da headbanging forsennato. Perfetto Leone alla voce e grande (e solito) acuto finale. “Desecration” rallenta decisamente, incentrato più che altro sulla parte vocale e con un lavoro chirurgico di doppia cassa. “Emanon” è un altro gran pezzo, dal sapore NWOBHM, con Leone che si getta in efficaci acuti e screams fino al liberatorio urlo finale. Vi è ancora rimasto qualche dubbio sul cantante? Ascoltatevi allora “Revelations of Evil”, che chiude il disco. L’inizio è quasi innocente, con un tranquillo giro di basso interrotto tuttavia ben presto da un lunghissimo, pazzesco e lancinante acuto. Inizia così il pezzo più lento del disco ma attenzione, è solo una maschera. All’improvviso le micidiali chitarre prendono il sopravvento e ci sparano letteralmente in faccia violentissi riff thrash style, mentre la voce diventa un aspro scream.
Le ultime tre tracce (presenti nella nella ristampa del cd) sono le versioni preliminari, acerbe, di alcuni pezzi che abbiamo già descritto. Tratte dal demo risalente ad un paio di anni prima e con un altro chitarrista, la qualità audio è ovviamente nettamente inferiore e si presentano come una piacevole alternativa, pur restando sostanzialmente inutili.
Per concludere, questo è un disco veloce, energetico, che ogni amante del True Metal anni ’80 dovrebbe possedere. Fatelo vostro, non ve ne pentirete.