Recensione: The Second Philosophy

Di Riccardo Angelini - 11 Marzo 2007 - 0:00
The Second Philosophy
Band: Nahemah
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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80

È un’evoluzione da tenere d’occhio quella dagli ispanici Nahemah. Abbandonato il black sinfonico degli esordi, la band di Alicante intraprende una strada più intrigante e fruttuosa, che parte dal death di scuola svedese per attraversare i campi più disparati. Il risultato è “The Second Philosophy”, terzo full-length del combo ispanico – dopo il precedente Chrysalis (2002) e l’esordio autoprodotto “Edens In Communion” (1999): un salto di qualità in parte inaspettato ma del tutto gradito.

Stabilito l’ordine nelle idee abbozzate su “Chrysalis”, si comincia a fare sul serio. Imprescindibile punto di riferimento sono i portabandiera Opeth, seguiti a qualche lunghezza di distanza dai Dark Tranquillity. L’influenza dei due colossi è evidente: soprattutto i primi rappresenteranno una costante fonte di ispirazione, a partire dalle corpose linee vocali del peraltro ottimo Pablo Egido, seguace di Åkerfeldt tanto nel growl quanto nel pulito. Ma l’opera dei Nahemah non si limita a un mero collage di citazioni più o meno evidenti: il combo iberico tenta infatti nuove vie, accogliendo nella propria dimora una molteplicità di elementi ulteriori. Potrà così capitare di restare abbagliati dai riflessi prog settantiani di “Today Sunshine Ain’t The Same”, o di perdersi nel labirinto avant-prog estremo chiamato “Change”. Ma è solo un assaggio: la porta resta aperta agli influssi più diversificati, dal post-rock orchestrale dei grandi Mogwai (“The Speech”) a ripiegamenti gothic-doom degni dei migliori Katatonia (“Like a Butterfly in the Storm”). L’apice compositivo viene però raggiunto nelle allucinate dissonanze di “Nothing”: un letale caleidoscopio di lame che fa a brani la realtà per poi ricomporne i lembi lacerati in un mosaico distorto e straniante.

Oppressivo e articolato, “The Second Philosophy” è un disco da ascoltare a lungo, con attenzione. Non sperate di trovare qui un piacevole sottofondo per le faccende quotidiane, ma prendetevi il tempo di gustare ogni dettaglio, ogni spigolatura. Progressive, death, doom, gothic, post-rock: le etichette arrancano nel tentativo di ingabbiare una proposta tanto diversificata. Ai Nahemah non resta che affrancarsi da alcuni vincoli che col tempo potrebbero diventare un po’ troppo ingombranti: del resto la via imboccata è decisamente quella giusta.

Tracklist:
1. Siamese (04:34)
2. Killing My Architect (05:02) 
3. Nothing (06:30)
4. Like A Butterfly In A Storm (06:40)
5. Change (07:13)
6. Labyrinthine Straight Ways (05:42)
7. Subterranean Airports (08:30)
8. Phoenix (05:18)
9. Today Sunshine Ain’t The Same (06:46)
10. The Speech (04:34)

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