Recensione: The Secret Doctrine
Sono passati solo pochi mesi dall’uscita del valido predecessore “Knowing Just As I”, eppure i Morgana Lefay tornano all’assalto tutt’altro che domi. Ancora più convinti dei propri mezzi, maturati artisticamente e compatti. Il combo di Bollnäs (Svezia centrale), forte del contratto con la Black Mark Production, decide di battere il ferro finché è caldo e compone praticamente di getto il nuovo materiale. Sul finire dell’anno (1993) entrano negli studi di registrazione Wave Station di Ljusne (nei pressi della loro città natale) con l’aiuto di Ulf Peterson sia in veste di produttore, sia come tastierista, e danno così alle stampe “The Secret Doctrine”.
I progressi in fase compositiva sono evidenti nonostante la tempistica ridotta, ma è innegabile che i miglioramenti siano riscontrabili su tutta la linea. La copertina di Kristian Wåhlin è sicuramente più ispirata di quella (seppur valida) precedente: raffigurata anche questa volta con tinte (o)scure dominanti che si addicono perfettamente al sound dei Nostri. Di nuovo troviamo riferimenti al Tempo (la clessidra) e allo Spazio (il vuoto cosmico illuminato dal bagliore delle stelle, più visibile sul retro). La produzione, poi, è decisamente ad alti livelli con suoni puliti e omogenei. Le chitarre sono un po’ meno graffianti rispetto a “Knowing Just As I”, ma guadagnano in compattezza e potenza. In particolar modo, però, è la sezione ritmica a trarre i maggiori benefici dalla proficua collaborazione con Peterson, abile nel conferire corposità al basso e incisività alla batteria. Sono soprattutto le lyrics e gli arrangiamenti più complessi e curati, ma sempre spontanei e coerenti, che danno l’idea della progressione artistica dei Morgana Lefay e un senso di completezza a “The Secret Doctrine” – che in parte mancava all’episodio precedente.
Sono sufficienti pochi secondi dall’inizio di “Rooms Of Sleep” e l’attacco dell’inconfondibile voce ruvida di Rytkönen, per riconoscere inequivocabilmente il sound degli scandinavi e poco più per rendersi conto anche dei loro passi avanti a livello di tecnica. Del brano viene realizzato un videoclip promozionale che, a dispetto di un budget evidentemente ridotto, si rivela efficace a rappresentare visivamente le atmosfere eteree e, come suggerisce il titolo, oniriche delle trame chitarristiche di Eriksson e Karppanen, impreziosite da rarefatte armonizzazioni e soli fumosi. Il suono rassicurante di un orologio a pendolo fa da introduzione a “What Am I”, ma la calma viene interrotta ben presto da un lacerante urlo che spalanca le porte a un potente e cadenzato mid-tempo. In questo caso è Heder a dettare i ritmi e a fare da collante nelle pause del riff portante e, come di solito, il refrain si stampa subito in testa pur non essendo per niente banale. Sulle sognanti note semiacustiche di “Alley Of The Oaks” si può apprezzare il contributo alle tastiere di Peterson, mai troppo invasivo o sdolcinato, con le sue note sinistre nelle ripartenze elettriche che sembrano composte per un disco di King Diamond. É con quest’ulteriore dimostrazione di classe, che i Morgana Lefay possono vantare quando si tratta di comporre una solenne ballata, che il disco spicca il volo. “Soldiers Of The Holy Empire” è un epico anthem doom, nel quale il fraseggio orientaleggiante alla sei corde richiama alla mente certi passaggi dei texani Solitude Aeturnus. Söderlind dà il meglio di sé proprio in questi rallentamenti con frequenti variazioni e potenti rullate. Si passa poi a frequenze ben più elevate con il dirompente thrash di “Paradise Lost” (il testo si rifà all’omonimo poema epico del XVII secolo scritto da John Milton) e leggermente meno con la pur sempre dinamica “Nowhere Island” e il suo riff sincopato in stile “By Demons Be Driven” dei Pantera. Sicuramente possono essere citati tra gli highlights dell’album, così come la struggente “The Mirror” che ci regala un’altra prova da brivido di Rytkönen sul maligno arpeggio e un ritornello quasi sgraziato e drammaticamente lancinante. Decisamente granitiche sia la rockeggiante e irriverente “State Of Intoxication”, sia la monolitica e maestosa “Cold World”: difficile rimanere fermi con questo genere di groove incendiario. Dopo un inizio quasi marziale, “Lord Of The Rings” (evidente tributo alla letteratura di J.R.R. Tolkien, oggi molto in voga), ci dimostra come coniugare con intelligenza l’epicità del power alle scorribande thrash. Sul finire della lunga track-list c’è spazio ancora per due pezzi da novanta come la malinconica ballad “Last Rites” dall’animo folk/blues e la tirata “Dying Evolution”: un’autentica scheggia impazzita ai confini dello speed. In chiusura troviamo il brano più oscuro, lento e decadente, tanto che pare adatto a fare da colonna sonora a una messa nera e cioè “The Secret Doctrine” (da non confondere con lo strumentale thrash presente su “Symphony Of The Damned” intitolato allo stesso modo).
Se con “Knowing Just As I” i Morgana Lefay hanno confermato ottime potenzialità e messo in luce doti compositive non comuni, con questa nuova fatica si sono spinti oltre, dimostrando il proprio talento praticamente sotto tutti i punti di vista. Più che un punto di arrivo, però, “The Secret Doctrine” può essere considerato un nuovo inizio.Una volta stabilite le coordinate da seguire, i Nostri progrediranno ulteriormente e daranno alla luce altri due lavori notevoli come “Sanctified” del 1995 e “Maleficium” del 1996 (e non è tutto). Ad ogni modo se vi capitasse di trovarvelo per le mani non fatevelo sfuggire, perché sicuramente non ne rimarrete delusi.
Orso “Orso 80” Comellini
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Track-list:
1. Rooms Of Sleep 4:57
2. What Am I 5:31
3. Alley Of The Oaks 5:30
4. Soldiers Of The Holy Empire 4:01
5. Paradise Lost 3:57
6. Nowhere Island 5:47
7. The Mirror 5:45
8. State Of Intoxication 4:52
9. Cold World 3:57
10. Lord Of The Rings 4:25
11. Last Rites 6:27
12. Dying Evolution 3:57
13. The Secret Doctrine 4:16
All tracks 63 min.
Line-up:
Charles Rytkönen – Vocals
Tony Eriksson – Guitar
Tommi Karppanen – Guitar
Joakim Heder – Bass
Jonas Söderlind – Drums