Recensione: The Seed And The Sewage
I Rhyme sono il classico esempio di band che quando vuole arrivare in alto e tentare l’ingresso nell’olimpo della notorietà, fa di tutto per raggiungere il proprio obiettivo.
A differenza della maggior parte dei gruppi italiani, i nostri non si lanciano verso l’hard rock più classico, genere che ormai è congestionato da un numero impressionante di band, ma puntano piuttosto ad un metal più moderno: per intenderci quello che va per la maggiore ora negli States, ovvero una miscela hard/metal/crossover/southern che negli anni 90 era consuetudine sentire e che oggi sta tornando in voga oltreoceano.
Se alle sonorità accattivanti aggiungiamo dei testi “impegnati” che trattano le problematiche sociali che oggi ci troviamo a vivere in prima persona, ecco che ci troviamo confezionato un prodotto che ha le carte in regola per sfondare oltre i nostri confini nazionali.
“The Seed and the Sewage” è il secondo lavoro in studio per il combo lombardo dopo il già promettente esordio “Fi(r)st”, ma ora sembra che i Rhyme ci abbiano preso gusto ed abbiano tutta l’intenzione di fare il salto di qualità.
Cosa che in realtà in parte hanno già fatto se consideriamo i tour sostenuti insieme a Papa Roach, Misfits e la partecipazione al celebre Rocklahoma in America.
Ma veniamo alla cosa più importante di questo nuovo cd, ovvero la musica.
Undici sono le tracce presenti per un’ora sparata senza sosta, fin dall’iniziale “Manimal” che ci mette subito di fronte al muro sonoro carico ed incisivo, ulteriormente esaltato dalla successiva “The Hangman”, ove il tiro resta sempre alto con la voce di Gabriele Gozzi che ben si adatta a queste sonorità corrosive.
“Blind Dog” oltre ad avere sempre un tappeto strumentale possente con la chitarra di Matteo Magni, il basso di Riccardo Canato e la batteria di Vinny Brando, ha come punto di forza un ritornello melodico ed irresistibile che farà guadagnare numerosi airplay nelle radio americane.
Il groove e le ritmiche battenti continuano ininterrotti anche con le successive “Slayer to the System”, “Party Right” e “Brand new Jesus” dove, non a caso, le influenze alternative rock alla Papa Roach si fanno sentire più che mai.
In “World Underground” e “Nevermore” trovano spazio anche interessanti inserti sludge sullo stile di Down e Black Label Society, riff taglienti e ritmiche secche che picchiano come un martello pneumatico.
La lunga “Victim of Downturn” – 7 minuti e 26 secondi – trasmette in tutta la sua lunghezza la drammaticità e l’angoscia delle tematiche affrontate nei testi col suono che si fa aspro e pungente come non mai.
A chiudere il disco c’è la reinterpretazione di “Wrong” dei Depeche Mode che, devo ammettere, nel complesso del disco stona un po’, anche se la band ce la mette tutta per renderla il più personale possibile, ma è innegabile come le tracce targate Rhyme rendano decisamente di più.
Con questo album la band ha sicuramente centrato l’obiettivo e se, come immaginiamo, l’intento è quello di puntare al mercato americano, prima che a quello del vecchio continente, possiamo affermare che le carte in regola ci sono tutte. Certo il loro stile non è niente di nuovo, ma il fatto di averlo personalizzato il più possibile rendendolo “proprio” permetterà al gruppo tricolore di togliersi ancora molte soddisfazioni, come l’imminente tour che in dicembre la band intraprenderà in Russia.
A noi non resta che tenerli d’occhio e presenziare quando saranno nel locale più vicino a casa nostra per provare sulla nostra pelle l’ottimo effetto abrasivo dei Rhyme.
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Tracklist:
01.Manimal
02.The Hangman
03.Blind Dog
04.Slayer to the System
05.Fairytopia
06.Party Right
07.Brand New Jesus
08.World Underground
09.Nevermore
10.Victim of Downturn
11.Wrong (Depeche Mode Cover)
Line Up:
Gabriele Gozzi – Voce
Matteo Magni – Chitarra
Riccardo Canato – Basso
Vinnie Brando – Batteria