Recensione: The Seed Of Foolishness
Extrema: un nome che rappresenta una sorta di “garanzia” per chiunque bazzichi almeno un minimo la scena metal tricolore (e non solo). Lo dicono gli anni di servizio prestati alla causa, esattamente ventisette quest’anno, lo sottolineano i sei album (più due EP) che vanno a costituire una discografia non nutritissima ma (quasi) sempre di elevata qualità e lo ribadiscono i sempre intensi live show che i milanesi non ci hanno finora mai fatto mancare.
Certo, i tempi del boom del thrash/groove metal sono passati da un pezzo, così come appaiono ormai lontane le sirene del Nu-Metal, eppure GL, Tommy e il resto della combriccola non hanno mai smesso di crederci, continuando a portare avanti la loro musica senza mai perdere d’occhio le sonorità del presente. Non stupisce, dunque, che anche il nuovissimo “The Seed Of Foolishness” suoni al 100% Extrema e, nel contempo, molto attuale.
Globalmente, rispetto ai tempi di “Tension At The Seams” e di “The Positive Pressure Of Injustice”, in “The Seed Of Foolishness” c’è forse meno groove e più “classic” thrash; inoltre fin dall’opener “Between The Lines” appare sufficientemente chiaro come, per una volta, le tipiche dichiarazioni di rito in merito al nuovo disco e alla sua riuscita non siano del tutto campate per aria. Chitarra, basso e batteria mitragliano che è un piacere e le vocals non hanno perso un oncia di smalto rispetto ai tempi d’oro, né in termini di potenza né di approccio. Risulta, anzi, rimarchevole, soprattutto in rapporto ai pur buoni “Set The World On Fire” e “Pound For Pound”, la maggiore eterogeneità in fatto di melodie che caratterizza il nuovo album, fattore decisivo dal punto di vista della fruibilità e della longevità dell’intero lavoro.
La spettacolare “The Politics” prosegue da par suo nel mostrarci una band in grande forma e sufficientemente ispirata da potersi permettere un’agile (e, tutto sommato, preventivabile) rivisitazione di alcuni degli stilemi del melodic metalcore moderno, senza che questo ammiccare appaia in alcun modo forzato o fuori luogo. ”Pyre Of Fire” e “The Distance” sono due schegge di puro thrash veloce e assassino, un felice mix di “vecchio” e nuovo (qualche passaggio fa un po’ Meshuggah) che non potrà che fare la gioia di ogni thrasher che si rispetti, tuttavia è l’atipica “Ending Prophecies” a strappare i maggiori applausi con i suoi cori sbilenchi e il pregevole finale acustico dal fortissimo retrogusto western. L’incipit della successiva “Bones”, ricollegandosi proprio ai titoli di coda di “Ending Prophecies”, è oscuro e insinuante come riusciva forse ai soli Alice In Chains e, mentre chitarra, basso e una batteria minimale dipingono atmosfere dense e soffocanti, persino GL pare rifarsi al Layne Staley più allucinato nel dare voce ad un brano così particolare.
Torna, poi, in pista il groove metal con la granitica “Again And Again”: riff da girone Dantesco, tiro devastante e voce sugli scudi per tre minuti e dodici secondi di grandissima intensità. “Deep Infection” non è da meno, in quanto a impatto, con le sue ritmiche forsennate e gli assoli al fulmicotone, eppure “Sick And Tired” fa anche meglio, grazie ad un’efficacissima hookline melodica e alla proverbiale grinta di casa Extrema, quella che ha permesso loro di diventare una delle band metal italiane più celebrate di sempre.
Chiude, in controtendenza, l’acustica “Moment Of Truth”: “pacifica”, melodica e quasi cantautoriale, a ribadire l’eclettismo e le grandi doti compositive ed interpretative di una band che non è solo in grado di pestare durissimo (e benissimo) ma anche di offrire inattesi e godibili spiragli di melodia (come pure di inserire un coro tratto da “Fracchia La Belva Umana” a mo’ di ghost track). Un grande come back, insomma, una spanna al di sopra delle ultime due uscite in studio e più che degno di rivaleggiare con il mitico binomio composto da “Tension At The Seams “ e “The Positive Pressure Of Injustice”. I thrasher sono avvisati.
Stefano Burini
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