Recensione: The Seraphic Clockwork

Di Massimo Ecchili - 27 Maggio 2010 - 0:00
The Seraphic Clockwork
Band: Vanden Plas
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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78

C’era una volta una fortunata serie tv intitolata “Happy Days”. Uno dei protagonisti principali si chiamava Richard “Richie” Cunnigham; ragazzo intelligente, affidabile, rassicurante e capace, soprattutto, di fare sempre la cosa giusta. E poi c’era Arthur “Fonzie” Fonzarelli, l’affascinante e carismatico bello e dannato che tutti abbiamo sognato di essere.
Fuor di metafora i Vanden Plas sono rassicuranti e affidabili come e quanto il bravo ragazzo dai capelli rossi. Non tradiscono e saranno sempre come ti aspetti che siano: continueranno a suonare prog metal classico, ammesso e non concesso che questa definizione abbia un senso. Meglio sarebbe dire che continueranno a comporre dischi che finiranno senza indugi sugli scaffali con l’etichetta “progressive metal”.
D’altro canto, purtroppo, non avranno mai il fascino del ragazzo con giubbotto di pelle e moto; né riscuoteranno mai il successo che, in un mondo ideale, spetterebbe ai giusti.

I tedeschi tornano sotto i riflettori a quattro anni di distanza dal riuscito Christ 0, opera liberamente ispirata a Il Conte Di Montecristo di Dumas, e lo fanno con un nuovo concept album, nel quale si narra di un viaggio a ritroso nel tempo dalla Roma del sedicesimo secolo alla Gerusalemme del 33 D.C., tra apocalittiche visioni e profezie del Vecchio Testamento.
Reduci ed arricchiti da varie esperienze teatrali, coinvolti tra le altre cose nella produzione di Hair e Jesus Christ Superstar al Pfalztheater Kaiserslautern, Kuntz & co. fanno uscire sotto la napoletana Frontiers Records questo The Seraphic Clockwork, ricco di pregi ma non scevro da alcuni difetti che gli impediscono di poter diventare un’opera immortale.
Le colonne portanti dell’ultima fatica dei teutonici sono due, ed hanno nome e cognome: Stephan Lill e Günter Werno. Il primo si distingue per un riffing robusto e vario senza accenni a colpi a vuoto, impreziosendo il suo ruolo con dei soli sempre ben inseriti nel contesto dei pezzi e risultando ottimo anche in intro e break acustici (vedasi l’incipit di The Final Murder o la parte centrale dell’epilogo On My Way To Jerusalem); il secondo offre una prova da incorniciare sia in fase di accompagnamento sia nei diversi episodi solistici, con una scelta di suoni varia e puntualmente azzeccata. L’affiatamento tra i due è totale, ed è ammirevole il modo nel quale riescono a non rubarsi mai la scena, dividendosi equamente spazio e momenti di protagonismo.
L’altro punto di forza è l’architettura dei pezzi; ci sono quattro brani che vanno dai quasi nove minuti ai quasi tredici di durata, e non si ha mai l’impressione che qualcosa sia stato fatto per allungare il minutaggio. Tutto serve all’economia dei brani stessi, ogni intro, ogni accelerazione o break, gli assoli, le variazioni sul tema, è tutto dove dovrebbe essere. In questo The Seraphic Clockwork segue le coordinate stilistiche presenti nell’ultimo lavoro degli americani Shadow Gallery: si percepisce tutta la mole di lavoro di songwriting che ha portato al risultato finale.
I difetti ci sono però, e pure evidenti. In primis non funziona completamente la voce. Quanto avrebbe giovato un cantante più istrionico di Kuntz non è dato sapere, ma l’impressione (forte) è che avrebbe portato beneficio e non poco un po’ di versatilità. Andy è un singer molto dotato, al di là del fatto che il suo timbro possa piacere o meno, ed è pure un ottimo interprete; il problema consiste da un lato nella sua impossibilità di “graffiare”, il che avrebbe dato ancor più lustro ai riff tosti qui presenti, e dall’altro nell’incapacità di non allungare qualsiasi finale di frase, il che comporta un appiattimento delle sue parti vocali.
L’altro aspetto che non convince del tutto è l’insistere di Andreas Lill sull’utilizzo della doppia cassa; anche qui il risultato è l’appiattimento di qualcosa che piatto non sarebbe. Questa è però una sottigliezza: in realtà il suo drumming nel complesso si integra ottimamente con il lavoro di basso di Torsten Reichert, formando nel complesso una sezione ritmica precisa e rocciosa.
Peccato, perché oltre a tutti gli aspetti positivi precedentemente ricordati, va ricordata una produzione pressoché perfetta con un ottimo bilanciamento degli strumenti ed un certo vigore della sezione ritmica che dà brio al tutto.
The Seraphic Clockwork è, ad ogni modo, un gran bel disco. L’opener Frequency è aggressiva ma propone un intermezzo piano/archi e traccia le linee guida dell’intero album, nel quale la parte orchestrale risulterà fondamentale ma mai eccessivamente invasiva. I ritmi rallentano, anche se di poco, con la successiva Holes In The Sky. Chi si aspetta una ballad stile I Don’t Miss You rimarrà però deluso: nonostante alcuni momenti più delicati o intimistici, come nella già ricordata The Final Murder o nell’ottima Scar Of An Angel, nessun lento trova spazio nella tracklist, e questa ha tutta l’aria di essere una scelta coraggiosa.
Da segnalare Quicksilver, la più riuscita assieme alla conclusiva On My Way To Jerusalem. In entrambe è ancora l’architettura del pezzo a fare la differenza, con un equilibrio pressoché perfetto tra struttura ritmica aggressiva, break, soli mozzafiato e cori azzeccati e nient’affatto ridondanti.
Di fatto il disco si chiude qui, anche se c’è ancora spazio per la bonus track Eleyson, in grado di strappare gli ultimi, meritati applausi.

Alla fine del viaggio percorso cavalcando le note di The Seraphic Clockwork viene spontaneo esclamare: bentornati Vanden Plas.
Bisogna voler bene a questi ragazzi tedeschi, perché se è indubbio che tutti abbiamo sognato di essere Fonzie, è altrettanto vero che tutti vorremmo un amico come Richie Cunningham: affidabile, rassicurante e che non ci tradirà mai.

Massimo Ecchili

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Tracklist:

01. Frequency 6:16
02. Holes In The Sky 5:32
03. Scar Of An Angel 7:28
04. Sound Of Blood 6:50
05. The Final Murder 9:54
06. Quicksilver 8:59
07. Rush Of Silence 9:28
08. On My Way To Jerusalem 12:53
09. Eleyson (bonus track) 5:32

Line-up:

Andy Kuntz (vocals)
Stephan Lill (guitar)
Günter Werno (keyboards)
Torsten Reichert (bass)
Andreas Lill (drums)


 

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