Recensione: The Seventh Life Path
Sette sono le meraviglie del mondo, sette le note ed i giorni della settimana, sette le virtù e sette i vizi capitali, sette i veli della danza di Salomè, sette le vite del gatto, sette le arti liberali, sette la somma di tutte le facce complementari del dado da sei, sette i nani (e Richard Benson lo sa bene), sette i sigilli, sette è il numero di colori dell’arcobaleno, sette il numero di anni di studio “matto e disperatissimo” di Leopardi, sette i mari, sette è il numero massimo di qualsiasi cosa (almeno secondo il Dott. Culocane), settimo è l’album “Seventh Son of a Seventh Son” nella discografia dei Maiden ed altrettanto possiamo dire di “The Seventh Life Path” per i norvegesi Sirenia, band fondata da Morten Veland dopo aver lasciato i Tristania, il cui debut titolava: “At Sixes and Sevens”. Coindicenze? Io non credo.
Orbene, il buon Morten da sempre legato a tematiche culturali, mistiche e numerologiche ritorna sulla scena con questo nuovo full-lenght, dopo il quasi-sufficiente “Perils of the Deep Blue” cercando di rifuggire le accuse di essersi eccessivamente concesso ad una musica più commerciale del dovuto. Ancora la bellissima Aylin al microfono, ad accompagnare il polistrumentista norvegese con la sua vocina ammaliante.
“The Seventh Life Path” è un disco che presenta una componente sinfonica molto più marcata di quanto visto in passato, elemento perlopiù vincente in tutto il lavoro, che vede protagonista il potente growl del vecchio Mort in numerose situazioni, relegando Aylin ad un ruolo minore del solito. Grande attenzione agli arrangiamenti sinfonici ed alla componente corale già chiara nell’intro “Seti”. Riffing abbastanza banale invece nell’opener “Serpent”, che si solleva grazie ad un ottimo assolo ed alla voce cavernosa di Morten. L’impressione sin d’ora è che gli ingredienti sono ottimi, ma pare che lo chef abbia mal amalgamato il composto. Il tutto si fa più chiaro dal controverso singolo “Once My Light”, brano particolarmente noioso, piatto e senza mordente; tra i peggiori del platter. L’impressione è che si provi un po’ a imitare gli Epica ma con una vocalist che non può reggere il confronto con la Simons, in un’alternanza di brani discreti ma mai sorprendenti. Del resto è inutile se la sezione ritmica si sbatte con roba ultra-sincopata e con millemila orchestrazioni, se poi la linea melodica della voce è tremenda. Morten si riprende con violenza il microfono in “Elixir” e ne esce tutto un altro lavoro: bello il riff di tastiera, perfetti i cori e la linea melodica, tanto che potrebbe sembrare un pezzo dei Dark Tranquillity in salsa epicheggiante; c’è anche lo spazietto, stavolta azzeccatissimo, relegato ad Aylin. Buona anche la successiva “Sons of the North”, che vede protagonista il buon Veland, in un riuscito incrocio tra black e gothic. Stesso discorso per “Silver Eye”. Questi sono i Sirenia che ci piacciono!
“Earendel” sarebbe un pezzo meraviglioso e variegato, ma si perde come il singolo in un ritornello pessimo e di nuovo eccessivamente cantilenato. Belle le orchestrazioni di “Concealed Disdain”, ma dove va a parare? Gli elementi già descritti si ripetono nei brani successivi, tra orchestrazioni super-pompose e ritornelli anodini, con qualche fiammata di epicità, come il bel solo di “Insania”.
Chiusura a sorpresa per la ballad “Tragedienne”, in cui la super-riverberata Aylin ci trasporta dolcemente al termine di un difficile ascolto.
Avrei voluto dare almeno un sette a “The Seventh Life Path”, e le potenzialità c’erano tutte, considerato l’ottimo impianto sinfonico, gli arrangiamenti di qualità, il trascinante growl di Morten e le atmosfere oscure e stranianti che questo disco riesce a sprigionare. Purtroppo però anche a fronte di numerosi (>7, beninteso) ascolti, un senso di vuoto ci travolge: Aylin ammalia ma non graffia, con la sua vocina lontana lontana che fa quasi tenerezza, ma che alla fine tra un gorgheggio e l’altro finisce per annoiare. Poco valorizzata, o forse non all’altezza. Inoltre il disco è esageratamente lungo (settanta minuti… chi l’avrebbe mai detto?) e senza picchi rilevanti o melodie particolarmente vincenti. Siamo indubbiamente dinanzi ad una band che, seppur con le migliori intenzioni, in tredici anni di carriera pare aver dato un contributo davvero poco rilevante al proprio genere di appartenenza, quasi una detrito cosmico della cometa Tristania. Terminato l’ennesimo ascolto attraverso questo settimo sentiero della vita, la direzione di “The Seventh Life Path” ci sembra coerente ed abbastanza raffinata ma l’impressione è che la via vada intrapresa con più molto più coraggio e tenacia (e forse con una cantante un po’ più poliedrica), magari rischiando qualcosa in più, piuttosto che incedere in questo lento ed inesorabile sentiero dei Sirenia verso l’abisso della mediocrità.
Luca “Montsteen” Montini