Recensione: The Shadow Inside

Di Fabrizio Figus - 20 Aprile 2024 - 22:07
The Shadow Inside
Band: Sadus
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Death  Thrash 
Anno: 2023
Nazione:
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55

I Sadus sono tornati, almeno fisicamente.

L’attesa è stata lunga, 17 anni di silenzio discografico (un’eternità, praticamente). C’eravamo lasciati con “Out For Blood”, dove il gruppo statunitense, ancora una volta, plasmava un Technical Death Thrash veloce e articolato, anche grazie alla presenza onorevole di mr. Steve DiGiorgio al basso, insaporendo tutto con una sperimentazione raffinata, condita con qualche suono elettronico sci-fi.

Bene, dimenticate tutto questo.

Steve DiGiorgio non c’è (e se ne sente la mancanza), il songwriting è diventato più lineare e l’aspetto di ricerca è solo un lontano ricordo. Inoltre, “mancano” i riff. Insomma, pur trattandosi indiscutibilmente di un disco violento, potente e rabbioso, questo nuovo “The Shadow Inside” porta davvero con sé un’ombra, anzi, diverse. I brani risultano troppo lunghi, cosa che andrebbe bene con la stesura complessa di prima, ma che risulta terribilmente noiosa in questa nuova veste. Abbiamo, poi, una brusca virata verso i mid-tempo e le strutture ad ampio respiro.

L’album inizia con “First Blood”, dopo un’intro arpeggiata, parzialmente presa in prestito da “Lonely” dei Crimson Glory. Il brano è sicuramente d’impatto ma già capiamo che il combo è tornato un po’ alle sue primissime sonorità, che si ispiravano chiaramente agli Slayer. “Scorched and Burnt” ci porta verso ritmi fortemente cadenzati, il brano suona marciscente ma trascinato, ricordandoci, in alcuni brevi momenti, qualcosa di “Individual Thought Patterns” dei Death. Andiamo avanti con “It’s the Sickness”: anche qui si parte con un ritmo rallentato che andrà poi  ad accelerare (cliché che cominciamo già a considerare scontato per tutto l’album), presentando innesti sonori dal sapore un po’ forzato. Con “Ride the Knife” si affacciano nuovamente gli Slayer di “Dead Skin Mask” con una spruzzatina di “Season in the Abyss”. In poche parole, la scelta sembra essere quasi sempre quella di presentare un’ispirazione riconducibile ad altre band nei tempi lenti, per poi infilare ritmi forsennati come rassicurazione regalata all’ascoltatore. La cosa non sembra funzionare benissimo però…

“Anarchy” è una canzone veloce ma priva di sostanza, uno di quei brani che, suonati dal vivo, diventano un impasto amorfo di difficile intelliggibilità. “The Devil in Me” risulta abbastanza ricca di momenti differenti ma frutto di una specie di patchwork. “Pain” offre un riff piuttosto banale, per poi scivolare, ancora una volta, nei tempi medi cadenzati. Torniamo alla velocità con “No Peace” e scendiamo con i bpm con la strumentale “New Beginnings”, dove l’inizio a mo’ di marcia ci riporta ai tempi dei primi Maiden dell’epoca di Paul Di Anno. Il disco termina con “The Shadow Inside”. La title track, forse, è l’unico brano un pochino interessante, se non altro per le atmosfere che evoca all’inizio e per i cambi di tempo, stavolta ben riusciti.

A conti fatti, il lavoro in questione risulta abbastanza noioso e scontato, fatta eccezione per qualche momento che emerge timidamente. La vena compositiva è assente, non si percepisce quella luce d’ispirazione, manca l’Eureka archimedea. Come già detto, l’assenza di DiGiorgio al basso si sente tantissimo, e si ha l’impressione di avere davanti un disco quasi interamente composto da filler. Dopo tutti questi anni di attesa, ci si aspettava forse qualcosa di diverso in termini di qualità, anche in termini di stile, se vogliamo, ma qui abbiamo un’opera scialba e senza mordente. Forse i Tool ci hanno illuso che aspettare tanto per un disco vuol dire, probabilmente, ottenere un lavoro dignitoso.

Non è il caso dei Sadus.

 

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