Recensione: The Shining Darkness

Di Stefano Ricetti - 16 Giugno 2010 - 0:00
The Shining Darkness
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Genere:
Anno: 2010
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70

Sancta Sanctorum: attesissimo progetto della congrega legata all’artista a tutto tondo Steve Sylvester, idea attiva sin dal 2007, che riesuma dalla cripta del tempo due personaggi oscuri come gli ex Death SS dell’era che fu Thomas Hand Chaste alla batteria – già nei Witchfield – e Danny Hughes al basso. Accanto a questi due capostipiti dell’Italian Wave Of Metal la line-up si completa con i più giovani John Di Lallo alle tastiere e Frederick Dope alla chitarra. Altra notizia bomba per i cultori, la presenza come special guest di Mario “The Black” Di Donato in un paio di canzoni oltre al coinvolgimento di altri validi musicisti in qualità di suoni aggiunti, come meglio specificato nelle note di coda della recensione.  

The Shining Darkness è il primo vagito di questa strana creatura musicale, che negli intenti vuole dare spazio libero alle esperienze di artisti sulla scena da parecchio tempo, anche se a fasi alterne, come in alcuni casi, creando un connubio fra le radici nere del dark doom, il progressive e le svisate lisergiche degli anni Settanta, senza però dimenticarsi di essere nel 2010.

The End is Near si dimena fra riffoni distorti a la Black Sabbath e tastiere Seventies consegnando un pezzo che si lascia ricordare per il crescendo canoro che porta Steve a invocarne il titolo. Black Sun si risolve in un esercizio retrò con la voce effettata, i primi istanti di Nothing Left At All sembrano portare a un pezzo che rispedisce ai fasti del passato, per poi però piegare verso un refrain molto vicino alle recenti uscite di casa Sylvester. Master of Destruction è frugalmente troppo semplice nella struttura per essere degna di un parto di Steve e soci degno di tale nome e non basta nemmeno il finale allucinato a risollevarne le sorti. 

Inizia ad intravedersi la luce per via delle chitarre durissime di Desperate Ways, accompagnate dalla voce sciamanica di Sylvester, poi il suono ben calibrato delle tastiere restituisce quell’alone di proibito che fece la fortuna dei Nostri anni prima. Per chi scrive l’highlight di The Shining Darkness. La vena compositiva ritrovata pare continuare con la magnetica When Hopes Are All Gone, canzone con un titolo che a questo punto del disco è tutto un programma. Accanto all’autocelebrazione dei Nostri, all’interno dei sette minuti di durata, prendono posto dei demoni che paiono fuoriuscire direttamente dal set di un film dell’orrore, con risultati altalenanti, più da colonna sonora che da pezzo che sa bastare a se stesso. 

L’Ozzyana The Soul of Truth sterza verso il lato oscuro e ortodosso della proposta Sancta Sanctorum, con una notevole e molto riuscita impennata dal colore candido a un minuto dalla fine del pezzo, segnando uno dei passaggi più riusciti di The Shining Darkness. Bread of Tears passa senza infamia e senza lode fino a che dei riffoni neri di chitarra rubano la scena per dare il via a No Expectations, il pezzo più Death SS dell’intero lotto. Cala il drappo viola sulle implacabili mazzate a la Orgasmatron di When You Die, a chiudere l’opera. 

Il disco, di non facile e veloce assimilazione, abbisogna di ascolti su ascolti per poterne captare appieno il messaggio. Alla fine si assesta su coordinate dignitose palesando però la mancanza di quel “click” che era doveroso aspettarsi da tre personaggi carismatici come Sylvester, Chaste e Hughes. The Shining Darkness è semplicemente un album ben riuscito, “normale” e nulla più. Chi si aspettava un come-back verso i suoni maligni che alimentarono quel velo di mistero e insana follia che si ebbe in quel di Pesaro fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta resterà parzialmente deluso. 

Morale? I Death SS, “quei Death SS” rimarranno unici nella storia. Ricreare, o anche solo avvicinarsi all’humus allucinato e all’alone di magia dei primordi tentando di ricomporre le trame oscure che costituirono la fucina musicale di cotanto Metallo Nero e pericoloso probabilmente impone delle scelte ben precise di campo da parte del Líder Máximo Steve Sylvester. E chissà che un giorno non vengano fatte, a partire dal ripristino dell’acronimo figlio del moniker In Death of S.S. e tutto il retrogusto Dark che ancora fortemente emana dalle catacombe dell’HM italiano. 

La confezione cartonata dell’album targata Black Widow Records a più risvolti risulta affascinante per via dei colori psichedelici utilizzati, lo è un po’ meno per quanto attiene la leggibilità dei testi, dato il carattere utilizzato, lo stesso di quello del brand in copertina, in versione ovviamente più ridotta nelle dimensioni. Sempre a livello di coreografia belli i disegni racchiusi e le foto della band.   

 
Stefano “Steven Rich” Ricetti


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Tracklist:
1 –  The End Is Near
2 –  Black Sun
3 –  Nothing Left At All
4 –  Master Of Destruction
5 –  Desperate Ways
6 –  When Hopes are all Gone
7 –  The Soul Of Truth
8 –  Bread Of Tears
9 –  No Expectations
10 – When You Die
 
Line-up:
Steve Sylvester – voce
Thomas Hand Chaste – batteria, tastiere
Danny Hughes – basso
Frederick Dope – chitarra
John Di Lallo – tastiere  

Special guest:
Mario “The Black” Di Donato – chitarra in 2 e 6
Ilario “Piranha” Supressa – chitarra in 9
Paolo Montebelli – chitarra in 1
BJ from Doomraiser – basso in 5
Mario De Luca – effetti in 3  

 

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