Recensione: The Sirens
Dieci anni, tanto abbiamo dovuto attendere per un nuovo lavoro griffato Into Eternity. Un lasso di tempo in cui tante cose sono accadute, portando degli inevitabili cambiamenti. Basti pensare che tra il 2011 e il 2012 i Nostri hanno pubblicato i singoli “Sandstorm” e “Fukushima” collaborando con l’amico ed ex chitarrista della band Rob Doherty, che avrebbe perso la vita poco tempo dopo, evento che ha lasciato i suoi segni nel mastermind Tim Roth. L’aspetto più evidente, però, quello che non solo balza all’orecchio ascoltando “The Sirens”, sesto full length della formazione canadese e lavoro che ci apprestiamo a curare in queste righe, ma soprattutto guardando le foto della nuova line-up, è il cambio di cantante. Stu Block, dopo essere entrato negli Iced Earth nel 2011, lascia gli Into Eternity nel 2013 e al suo posto entra in formazione Amanda Kiernan, già attiva con i The Order of Chaos. Un avvicendamento che ha sicuramente rallentato il processo produttivo della band, dovendo capire come poter valorizzare la nuova cantante e cercando di ritrovare un nuovo equilibrio, aspetto non semplicissimo, soprattutto se consideriamo che l’ultima incarnazione degli Into Eternity, quella con Stu Block, aveva dato maggiore risalto alla compagine canadese. Così, se un cambiamento al microfono non è mai facile, in nessuna situazione, figuriamoci per una formazione come gli Into Eternity che si trovavano in fase di rilancio proprio grazie al singer defezionario.
Ma a penalizzare maggiormente gli Into Eternity è stata la conclusione del contratto con Century Media Records e la conseguente difficoltà a trovare un nuovo deal, aspetto forse dovuto all’abbandono di Stu Block e a una line-up tutt’altro che stabile. È per questo che il mastermind Tim Roth aveva deciso di far uscire “The Sirens” come lavoro autoprodotto, lo scorso agosto. Come in tutte le favole, però, anche in quella degli Into Eternity è arrivato il lieto fine, grazie all’interessamento della M-Theory Audio che ha deciso di scommettere sul quintetto canadese, posticipando l’uscita del disco a fine ottobre. Proprio la decisione iniziale di pubblicare la nuova fatica come autoproduzione appare evidentissima una volta iniziato l’ascolto dell’album. Il suono di “The Sirens” presenta infatti qualche pecca, penalizzando in particolare batteria e voce, rendendo le chitarre “leggerine”, facendo perdere un po’ di mordente alle composizioni. Altro aspetto a balzare subito all’orecchio è quella che possiamo chiamare “discontinuità stilistica” tra le otto tracce che compongo l’album, come se le canzoni arrivassero da epoche diverse, presentando di conseguenza sfaccettature e atmosfere diverse. Troviamo così alcune track che seguono quanto proposto dagli Into Eternity nel precedente “The Incurable Tragedy”, sia per l’inserimento di sferzate simil power-thrash, che per le melodie proposte e per delle linee vocali avvincenti, che sembrano in tutto e per tutto made in Stu Block. Stiamo parlando di ‘Fringes of Psychosis’ (l’inizio e la parte strumentale centrale non lasciano dubbi su questo aspetto n.d.r.), la già nota ‘Sandstorm’, composizione del 2011 che vedeva proprio Block alla voce e che avvalora quindi il nostro ragionamento, senza dimenticare l’altro singolo, ‘Fukushima’, pubblicata originariamente nel 2012. Proprio ‘Fukushima’ ci permette di approfondire un altro aspetto, entrando nel dettaglio sul drumming di Bryan Newbury. Il batterista, entrato in formazione nel 2011, sostituendo un certo Steve Bolognese, è sicuramente un panzer delle pelli, tecnicamente indiscutibile, veloce e violento, ma non riesce però a trasmettere quel trasporto, a inserire quegli abbellimenti che donavano maggiore varietà ai pezzi e che il suo predecessore sapeva invece fare. Qualcuno potrebbe dire «ehi, ci hai detto che il suono della batteria non è granché in questo disco, incide sicuramente», già, vero, ma ‘Fukushima’ non convinceva nemmeno nella sua versione originale, resa piatta e “caotica”, passatemi il termine, proprio dal drumming di Newbury, in particolare nelle parti più veloci. Sempre ‘Fukushima’, inoltre, ci permette di valutare la prestazione di Amanda Kiernan rispetto al suo illustre predecessore. Diciamo che la Kiernan non brilla, come potremo notare anche in altre tracce del disco, dove la cantante alternerà parti e linee vocali coinvolgenti, ad altre meno convincenti ed emozionali.
Le altre tracce che vanno a comporre “The Sirens” presentano invece una struttura leggermente diversa rispetto a quanto fin qui scritto. Ci troviamo al cospetto di canzoni che pongono l’accento sul virtuosismo, regalandoci dei passaggi intricatissimi, con chitarre, basso e batteria sugli scudi. Certo, gli Into Eternity hanno sempre sfoggiato grandi tecnicismi nei loro album, ma in “The Sirens” questo aspetto è ulteriormente accentuato. Un bene? Un male? Mah, diciamo che le canzoni risultano “piene”, perdendo però parte di quell’impatto emotivo che aveva sempre caratterizzato il sound degli Into Eternity. Basta ascoltare l’opener ‘The Sirens’ e la successiva e già citata ‘Fringes of Psychosis’ per notare la differenza tra le tracce più recenti e quelle più datate. Se a questo, poi, come detto in precedenza, sommiamo una Kiernan che non brilla e, sia in clean che in growl, alterna linee vocali convincenti ad altre meno riuscite – come nella conclusiva ‘The Scattering of Ashes’, classica ballad Into Eternity basata su voce, chitarra e tastiere, dove la Kiernan risulta convincente e in grado di trasmettere emozioni nel ritornello, mentre nella strofa risulta più staccata, non riuscendo a valorizzare appieno la canzone – ci rendiamo conto, dopo ripetuti ascolti, che il disco si presenta come se avesse il freno a mano tirato.
Da segnalare, inoltre, la presenza di vari ospiti, a partire dal più volte citato Stu Block, al compianto Rob Doherty, le cui tracce vocali in ‘Sandstorm’ e ‘Fukushima’ sono state lasciate come nell’originale, fino ad arrivare a Glen Drover alla chitarra.
Come interpretare quindi la nuova fatica degli Into Eternity? Come un disco dal grandissimo potenziale ma che per alcune scelte stilistiche risulta un lavoro altalenante, con alcuni picchi, rappresentati da canzoni del valore di ‘Fringes of Psychosis’, ‘Sandstorm’ e ‘Devoured by Sarcopenia’, e altre tracce che non riescono ad avere lo stesso trasporto, caratterizzate a loro volta da un andamento altalenante. Poi, come detto in sede di analisi, con “The Sirens” il quintetto canadese sembra aver accentuato i tecnicismi delle composizioni, aumentando la complessità delle trame e, in alcuni frangenti, anche la velocità di esecuzione, perdendo così l’impatto emotivo che aveva reso “magici” dischi come “Buried in Oblivion” e “The Incurable Tragedy”. Certo, come più volte ribadito, nei suoi cinquanta minuti di durata, “The Sirens” è in grado di regalare qualche piacevole passaggio, ma gli Into Eternity ci avevano abituato a degli standard elevatissimi. Nonostante l’album risulti comunque capace di superare l’agognata sufficienza, si pone ampiamente sotto la qualità cui la compagine di Tim Roth si era sempre espressa nel corso degli anni. Peccato, un ritorno sulle scene che lascia un po’ di amaro in bocca.
Marco Donè