Recensione: The Six Elements, vol. 4 Air
Giunti al quarto capitolo di questa esalogia sugli elementi firmata dai Dawn of a Dark Age, sinceramente, cominciano a mancare un po’ le parole. Per certi versi è semplice trovare cosa dire quando una band dà alle stampe un album ogni tre o quattro anni, c’è tutto il tempo per prepararsi. Addirittura è ancora più facile se la band in questione, dopo la lunga attesa, compie un mezzo passo falso o, al contrario, se ne esce con il suo disco più bello di sempre, questo perché vi è sempre un termine di paragone, una pietra miliare su cui misurare lo scivolone o il miglioramento.
Ma quando un gruppo, che poi si riduce quasi esclusivamente al mastermind e deus-ex-machina Eurynomos, autore di tutti i testi, le musiche, gli arrangiamenti, riesce a mantere una simile altissima qualità pur sfornando un nuovo platter ogni sei mesi esatti, cosa si può ancora dire che non sia già stato detto? Quali nuove parole di elogio si possono inventare per descrivere il suo lavoro?
Come dicevamo inizialmente cominciamo a trovare qualche difficoltà, quantomeno senza risultare ripetitivi.
Ripetitività che, invece, è esattamente quanto NON si può rintracciare in questi quattro dischi. Passati attraverso la terra, l’acqua e il fuoco, eccoci giunti all’aria. Come abbiamo già visto, gli ingredienti di base del sound dei Dawn of a Dark Age sono cambiati poco da un album all’altro, tutto trae sempre origine da un mix tra raw black metal, musica classica e sinfonica, musica da camera e jazz. Ingredienti frutto del background culturale e della formazione musicale di Eurynomos, al secolo Vittorio Sabelli, apprezzatissimo membro della redazione di TrueMetal.it. Eppure, anche se le fondamenta sono le stesse, il palazzo sonoro che ogni CD è stato in grado di erigere è completamente diverso.
“The Six Elements, vol. 4 Air” non fa eccezione e riesce a rimescolare per l’ennesima volta le carte in tavola. Un esempio è la seconda traccia “Argon Van Beethoven (1%)” che, per tener fede al proprio titolo, non si lascia sfuggire l’occasione di giocare un po’ con le melodie del compositore tedesco. In particolare è il movimento del primo quarto della nona sinfonia (per la cronaca: quello reso famoso da Arancia Meccanica è il movimento del secondo quarto, quindi non aspettatevi di trovarlo citato qui) ad essere ripreso e variamente rielaborato e reinterpretato in modi (e con strumenti) diversi per tutta la lunghezza della canzone. Il risultato finale è sicuramente particolare, ma lo davamo quasi per scontato dopo i tre precedenti album, e probabilmente capace di piacere anche al più purista e al più indefesso fan del raw-black-metal prima maniera.
Altro brano capace di raccogliere il favore dei blackster è il quarto: “Darkthrone in the Sky”, sicuramente uno dei pezzi più genuinamente black sfornati fino a questo momento dai Dawn of a Dark Age. Una piccola curiosità è il fatto che il testo di questa traccia sia composto esclusivamente dai titoli delle canzoni (tratte da dischi, demo, etc.) proprio dei Darkthrone.
Potremmo a questo punto perderci in una disamina track-by-track di tutto l’album, una tentazione che si fa forte soprattutto quando ogni brano riesce ad avere in serbo così tante nuove sorprese o rimandi e citazioni colte. Parlare di canzoni simili, così sfaccettate e piene di cose da dire, è gudurioso e, per alcuni, forse anche un modo per sfoggiare tutta la propria cultura musicale. Ma proprio l’ascoltarlo e riascoltarlo per coglierne ogni sfumatura, per andare sempre più in profondità, come un minatore, per riuscire a riportare alla luce ogni singolo filone musicale, è uno dei pregi di questo disco e uno dei piaceri maggiori in cui possono indulgere gli ascoltatori. Dunque perché dovremmo togliergli, almeno in parte, il piacere della scoperta svelando tutto e subito? Meglio lasciare un po’ di alone di mistero, garantendo comunque l’altissima qualità di tutta la scaletta.
Dal punto di vista produttivo non abbiamo nulla da aggiungere a quanto detto fino a ora, tranne una cosa. Finalmente, dopo tanta drum-machine (ben programmata, ma pur sempre con un piccolo retrogusto un po’ asettico), ecco all’opera un vero batterista: Diego “Aeternus” Tasciotti. La differenza è assolutamente sostanziale e, lo ripetiamo, anche se nei precedenti album la mancanza di un essere umano in carne e ossa dietro le pelli era stata ben compensata dall’ottima opera di programmazione della drum-machine, davvero non c’è paragone. Se si potesse tornare indietro e re-incidere Earth, Water e Fire, crediamo potrebbero guadagnarne almeno 2 o 3 (se non anche 5) punti ciascuno in fase di voto.
Per concludere, Air, il quarto capitolo della esalogia degli elementi dei Dawn of a Dark Age, si conferma come un acquisto obbligato da parte di tutti gli appassionati di black E di buona musica. Dopo quattro album a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, la vena compositiva e l’ispirazione di Vittorio “VK” Sabelli sembra non essersi ancora esaurita e, anzi, ogni nuova uscita riesce a sorprendere per qualità e originalità. A questo punto il più sembra ormai fatto, mancano “solo” due uscite alla conclusione di questa fatica titanica e noi non vediamo l’ora di poterle ascoltare.
Alex “Engash-Krul” Calvi