Recensione: The Song of the Nibelungs
Avvinghiato a una poderosa confezione cartonata digipak con la costina assimilabile a quella di un libro vero, il quarto full length degli ultra-defender Wotan irrompe sul mercato al crepuscolo dell’anno passato. La leggenda, come quella trattata dalla premiata ditta Vanni Ceni & Co. all’interno di quest’opera mastodontica sviluppata lungo due Cd, vuole che il combo lombardo ci abbia lavorato per ben dieci anni prima di darlo alle stampe sotto l’egida della Rafchild Records.
E alle leggende, se si è uomini di Fede, bisogna credere!
Quasi due ore di musica mai banale stanno lì a dimostrarlo, in mezzo all’ideale campo di battaglia del mercato metallico. E ben ventidue pagine di libretto, curatissime e dal taglio medievaleggiante, registrano il suggello definitivo con l’argomento cardine di The Song Of The Nibelungs che, come da titolo, narra a la Wotan maniera il poema Il Canto dei Nibelunghi (Das Nibelungenlied in lingua madre, il tedesco), la cui prima pagina viene data per risalente al 1220 circa.
Ecco quindi Sigfrido, Gunther, Hagen, Crimilde, Brunilde e compagnia cantante affacciarsi al capezzale tutto borchie, acciaio ed epicità dei Wotan e declinarsi lungo diciotto canzoni. Molti potevano intraprendere questa sfidante operazione, è vero, ma quante volte nella storia dell’HM abbiamo visto minimizzare o banalizzare leggende di cotanta portata da band alle quali mancava la titolarità per farlo? Gente che il disco dopo cambiava direzione seguendo il vento del momento, oppure che in quattro canzoni si fregiava di aver analizzato opere immense che nemmeno un’enciclopedia, o quasi…
Ai Wotan l’attitudine non è mai mancata, va poi riconosciuto a Vanni Ceni il physique du rôle per interpretare il campione nordico dell’epicità fatta persona, in Italia. Obiettivamente: quante volte abbiamo assistito a concerti nei quali il leader di turno si atteggiava a vichingo senza macchia e senza paura benché totalmente privo del portamento minimo sindacale? Sempre pregevole l’impegno ma… Chi ha avuto la fortuna di gustarsi i Wotan alive sa a cosa mi riferisco: quando Ceni, elmo in testa e armatura indosso, se ne esce brandendo una vistosa e scintillante spada verso il cielo, si raggiunge il climax epico. Ovvio, come scrivevo sopra, ci vuole la Fede per apprezzare queste cose che, se analizzate con l’occhio distaccato di un appassionato di altri generi, anche metallici, beninteso, possono apparire delle pagliacciate bell’e buone.
Heathens from the North: Vanni Ceni
Tornando a noi: Das Nibelungenlied, così come riportato in quarta di copertina nel digipak, non è opera facilmente masticabile. Nondimeno gli interventi del soprano lirico Claire Briant Nesti in “Brünhild” e “The Curse Of The Rings” possono essere sublimi quanto spiazzanti, per certuni. Il Metallo Epico del quali sono dispensatori sani i Wotan rifugge la leggerezza del refrain, il coro che entra in testa e per una settimana non se ne esce più, il pezzo batti e ribatti da concerto. The Song Of The Nibelungs va gustato col booklet fra le mani, col mood giusto per farlo, perché il tonnellaggio di eroica che vi è contenuto lo esige. Siamo dalle parti di Into Glory Ride dei Manowar, per intenderci. Indi mazzate a destra e manca, bordate di natura stentorea e velocità solo quando serve, badando alla sostanza e alla pesantezza delle cose. Manca l’immediatezza che ha fatto la fortuna e la gloria di tanti altri capostipiti del genere, insomma. Sugli scudi, per lo scriba, la ballata “Fateful Love”, drammaticamente intensa e il pezzo iniziale “In The Land Of The Nibelungs”, il fragoroso manifesto dell’intero album e dei Wotan 2019/20.
The Song Of The Nibelungs è un lavoro massiccio, uno di quei dischi che negli anni riuscirà a fornire spunti e chiavi di lettura nuove. Qua il tasto “<<” lo si deve premere consapevolmente e passata dopo passata ci si immergerà ancor meglio fra le trame più nascoste della cotta di maglia di Sigfrido.
E sarà solo il tempo, un giorno, a decretarne l’immortalità.
Stefano “Steven Rich” Ricetti