Recensione: The Stream of Disillusion

Di Damiano Fiamin - 12 Aprile 2012 - 0:00
The Stream of Disillusion
Band: Disease
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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79

Secondo album per i Disease, band underground ma con quasi due decenni di storia alle spalle (il primo vagito di questo esperimento musicale è datato 1994). Il quartetto suona…death metal? Thrash metal? Progressive? Diavolo, ci sono più etichette che in un negozio di abbigliamento…Normalmente, cerco sempre di enucleare le  caratteristiche principali della musica, evitando di propinare al lettore una sequela di classificazioni inutili. Con questo concept, però, mi trovo davvero in difficoltà: i Disease suonano effettivamente quanto citato pocanzi, e anche di più! Per farvi un’idea, prendete una solida base thrash, ingrezzite quanto basta e mischiate con tempi dispari e passaggi audaci; avrete un’idea di cosa vi aspetta. Oppure, semplicemente, visitate il sito della band laziale e scaricate il disco che, come ogni capitolo della discografia del quartetto, è disponibile in download gratuito. E ora, bando alle ciance, procediamo con l’analisi dell’album!

Lento e soffocante, l’incipit di Different Suns si muove gravemente, arrampicandosi su arpeggi sempre più pesanti che accumulano pressione, trovando sollievo unicamente nell’esplosivo finale, un ponte che, idealmente, si allaccia all’aggressiva New Closer Hypocrisy.  Chitarre sfrenate, bassi pulsanti e batteria che pesta durissimo sono gli elementi costituenti di un brano che sfoga una potenza feroce, stemperata unicamente da qualche breve istante di rallentamento ritmico, quasi a voler concedere a chi segue delle pause per riprendere fiato. La melodica parte mediana detona nuovamente in una cavalcata tempestata di riff che cresce e cresce, catturando l’ascoltatore e lasciandolo quasi smarrito dal brusco cambio di tonalità della title-track. Abbandonate le sonorità thrash metal, cominciamo a muoverci nei confini di un death metal melodico ma decisamente brutale, in cui Tempesta alterna i vocalizzi puliti a un buon growl. Un cambio di registro interessante, sebbene il brano risulti meno coinvolgente dei precedenti, probabilmente a causa della minore varietà delle soluzioni armoniche proposte.  Release the emptiness apre con un trionfo della sezione ritmica del gruppo, per l’occasione costellato da distorsioni e acide dissonanze. Non lasciatevi ingannare, il gioco è sempre lo stesso; il quartetto intesse la sua tela su un amalgama di  momenti massicci e ruvidi, accostandoli a melodie più facili e puliti. Particolarmente ben riuscito l’aspro finale, un crescendo disarmonico che buca le casse ed entra direttamente nelle orecchie di chi ci si trova davanti. 
Continuiamo il nostro viaggio musicale con Infinity: Enter The Wave,  lasciamoci trasportare tra chitarre scatenate, bassi rutilanti e arpeggi discordanti, elementi fondativi del pezzo più lungo dell’intero album. Nonostante si protragga un po’ più del necessario, ha degli episodi davvero degni di nota e riesce a non pesare particolarmente, soprattutto grazie all’inventiva dei musicisti che si prodigano per proporre soluzioni sempre nuove. For My Deliverance è, probabilmente, il pezzo meno  convincente dell’intera produzione; sebbene continui a essere ben suonato, assistiamo a un inspiegabile banalizzazione della proposta. Un passo falso, evidentemente, ma che non grava più di tanto sul valore complessivo del CD. Ci avviamo verso la chiusura quando erompe  In This Morning, traccia gradevole, ben caratterizzata da riff decisi e da vocalizzi puliti, un buon sunto di quanto già ascoltato finora,  a cui viene aggiunto un retrogusto à la Pearl Jam che non stona affatto. A suggellare l’esperienza, Empty, una libera reinterpetazione  degli Anathema, piacevole impreziosimento di un disco già ben riuscito.

Immagino vi siate già fatti un’idea, ma sarà comunque mio piacere riassumere in poche righe la mia impressione su questo concept album. I Disease hanno realizzato un prodotto davvero di buon livello, sia dal punto di vista compositivo, sia per quanto riguarda l’esecuzione. Anche la produzione è più che discreta, soprattutto considerando che non è “sotto etichetta”. Qualche sbavatura qua e la non riesce a penalizzare un disco che, alla fine della fiera, risulta di alto spessore. Promossi a pieni voti, consigliati a tutti gli amanti di sonorità che riescono a essere “pesanti” senza tralasciare l’estro creativo. Che aspettate?

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracce:
1 – Different Suns
2 – New Closer Hypocrisy
3 – The Stream of Disillusion
4 – Release the emptiness
5 – Infinity: Enter The Wave
6 – For My Deliverance
7 – In This Morning
8 – Empty (Cover Anathema)

Formazione
Flavio Tempesta: Voce, Chitarra
Marco Mastruzzi: Chitarra
Leonardo Orazi: Basso
Massimo Tempesta: Batteria
 

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