Recensione: The Sullen Sulkus
Dopo il debutto intitolato “Dust” uscito nel 2000 i Mourning Beloveth ritornano nei negozi con questo “The sullen sulcus” lanciato sul mercato alla fine del 2002. Il gruppo è formato da cinque elementi: Frank (chitarra e voce), Darren (voce), Adrian (basso), Tim (batteria) e Brian (chitarra) L’album registrato interamente agli Academy Studios e distribuito dalla Aftermath ci propone un death-doom abbastanza classico e completo con brani assai complessi.
Il masterpiece si apre con “The words that crawled”, un buon brano di classico doom-death con riffs di chitarra granitici e molto lenti che in alcune occasioni possono anche suscitare un senso di angoscia nell’ascoltatore; la voce è un’alternanza di cantato growl ben strutturato senza sbavature di sorta e mai esasperato che ben si adatta al tappeto di chitarre e di un narrato pulito ricco di effetti che rende molto bene l’atmosfera claustrofobica che caratterizza molti gruppi doom. Il tutto è completato da una batteria picchiata ma estremamente lenta che, con il suo ritmo cadenzato, contribuisce notevolmente a creare un’ambientazione decadente e “orrorifica” che, assieme con i cori polifonici che pervadono quasi tutto il lungo brano (dura più di 12 minuti ! ), fa viaggiare l’immaginazione dell’ascoltatore verso paesaggi abbandonati e castelli diroccati.
Con “It almost looked human” il discorso non cambia molto; il doom suonato dal combo svedese è un felice accostamento tra la “regalità” della parte musicale e la rozzezza del cantato growl. Anche in questo brano è presente il cantato pulito che in questo caso non è narrato ma gridato e portato all’estremo fino a sembrare in alcuni frangenti un lamento. Tutto questo rende il brano estremamente pesante e potente quasi fosse un enorme macigno che pende sulla testa dell’ignaro ascoltatore.
La seguente “The insolent caul” è il brano del cd che più si avvicina agli stilemi del doom classico alla Candlemass se non fosse per la voce death che in quest’occasione è più pulita e meno incisiva; si può dire il contrario per la voce pulita che, mentre negli altri pezzi viaggia molto vicina alla stonatura o al lamento, ora è decisamente più intonata ed incisiva e la mancanza di cori polifonici non si fa sentire più di tanto. Il tutto è condito da parti strumentali ben strutturate con le due chitarre che riempiono magistralmente i vuoti creati dalla sessione ritmica con i loro riffs granitici non lasciano un secondo di tregua.
“Narcissistic funeral” è invece il pezzo meno interessante del pasterpiece; la voce rimane sulla stessa intonazione per quasi tutta la durata del brano senza cadere in inflessioni di nessun genere fino a diventare quasi noiosa, mentre le chitarre suonano bene o male sempre gli stessi accordi macchinosi e per nulla originali anche nelle lunghe sezioni strumentali eccezion fatta per un breve momento di sapore gotico che fa aumentare l’interesse verso questa canzone che altrimenti sarebbe quantomeno inutile. Diciamo che il titolo si adatta perfettamente al pezzo; infatti ascoltandolo con una buona dose d’immaginazione ci si può addentrare in un corteo funebre dove tutti i presenti “marciano” all’unisono.
La titletrack “My sullen sulcus” non porta niente di nuovo sotto il sole a parte una sorta di dialogo tra le due voci che in alcuni momenti si sovrappongono dando un buon effetto quasi fosse una contrapposizione fra il bene e il male. L’uso degli effetti sui due cantanti è molto preciso e mai noioso tanto da far ruotare quasi tutta la canzone intorno alle voci e lasciando meno spazio a parti strumentali e tipicamente doom.
Il cd si chiude con “Angers steaming arrows” che inizia promettendo del classico doom per poi trasportarsi lentamente ma inesorabilmente verso il death melodico con un continuo aumentare del ritmo della batteria e con una crescente incisività della voce growl per poi ritornare di colpo verso un doom canonico senza particolari innovazioni. Unica differenza rimane la completa assenza della voce pulita presente in tutti gli altri brani.
Questo “The sullen sulcus” può essere quindi definito un buon disco di doom-death che trova i suoi momenti migliori nelle parti cantate, mentre pecca di fantasia e originalità nei momenti strumentali che a volte possono sembrare noiose ad una persona non solita al genere. Altre pecche del cd sono la registrazione che a tratti risulta parecchio scadente con fruscii e gracidi tipici dell’ormai inusitato vinile e la lunghezza dei brani, che durano tutti intorno ai 10 minuti e in alcuni frangenti riescono anche a stancare l’ascoltatore.
TRACKLIST:
1. The words that crawled
2. It almost looked human
3. The insolent cal
4. Narcissistic funeral
5. My sullen sulks
6. Angers steaming arrows