Recensione: The Summoning
C’è old school death metal e old school death metal.
Ci sono cioè band che altro non fanno che mutuare pedissequamente un sound immutabile in ciascuna delle sue caratteristiche e band che, pur mantenendosi fedeli alla linea, provano comunque a metterci del loro. Gli svedesi Ending Quest, con il loro “The Summoning”, fanno parte della seconda fattispecie. Ending Quest che, malgrado puzzino di vecchio lontano un miglio, fondano i propri natali nel vicino 2009. Da allora, due demo (“Led To The Slaughter”, 2010; “Vlad Tepes”, 2011) e questo full-length.
Sarà che gli scandinavi hanno il metal estremo radicato nel DNA, ma non sembra proprio che un curriculum tutto sommato scarso come quello dei Nostri li limiti in qualcosa. Anzi, “The Summoning” appare tutto fuorché un debutto, talmente si mostra solido e consistente in ogni dettaglio. Certo, artwork e testi non sono il massimo dell’originalità, ma sono quello che si aspetta di trovare chi si avvicina a un lavoro di death metal vecchia scuola. Sound e songwriting, nondimeno, lasciano intravedere una formazione compatta, affiatata, in grado di non trascurare anche il minimo dettaglio che concorra a definire questo stile. La sensazione, insomma, è quella di trovarsi di fronte a un ensemble scafato, ricco di esperienza e con una buona dose d’inventiva. Cosa che non è pacifica e che quindi segna un punto non da poco a favore del terzetto di Stoccolma.
Il rantolo soffuso di Stefan Nordström, del resto, è perfetto per raccontare storie di morte, anti-religione ed occultismo. Un rantolo che si fonde al growling per regalare quel senso di repellente putridume che solo l’old school sa elargire in abbondanza. Anche le chitarre cuciono riff marci, morbosi e corrotti sino alla radice; mattoni di un muro di suono dall’impatto a volte devastante poiché, diversamente dal solito, l’ingresso negli impossibili territori dei blast-beats non è disdegnato. Infatti, la varietà del ritmo, dovuto in primis alla bravura del bassista Jonas Bergkvist, che rifugge elementari accompagnamenti mono-corda, è l’elemento forse vincente della proposta degli Ending Quest. Il drumming svolge perfettamente la sua funzione sottolineando l’odore di putredine con i tipici quattro quarti ‘trascinati’ à la Dismember, ma non si spaventa a tentare soluzioni diverse fra loro, che indubbiamente movimentano e diversificano linee ritmiche spesso troppo uguali a se stesse.
Così facendo non ne beneficia solo il sound, al quale si può accostare, addirittura, l’aggettivo ‘dinamico’, ma la composizione. Soprattutto. La quale, in virtù di tali eventualità aggiuntive rispetto allo standard, consente a Nordström e compagni di scrivere brani interessanti, che rimangono in testa senza appiattirsi nella melma della monotonia. Con alcune cime di eccellente qualità, come la stupenda “Voices”, travolgente nel suo ficcante rifferama e nel ritmo irresistibilmente spacca-vertebre, ricca di passaggi rallentati, sulfurei e oscuri. Si possono citare anche altri esempi, come la devastante “Destruction Of The Firmament” o l’ossianica “The Lament Configuration”, nei quali traspare un’evidente talento costruttivo posseduto dai Nostri, identificabile in ‘quel qualcosa in più’ che la maggioranza dei loro colleghi non ha.
Bravissimi davvero, gli Ending Quest, nel dimostrare con semplicità e immediatezza che anche un genere apparentemente ‘morto’ come l’old school death metal, se si ha inventiva, può regalare inaspettate sorprese. E, in “The Summoning”, ce n’è più di una: basta cercarle.
Daniele “dani66” D’Adamo
Discutine sul Forum nel topic relativo!