Recensione: The Synthetic Light of Hope

Di Francesco Sorricaro - 30 Settembre 2009 - 0:00
The Synthetic Light of Hope
Band: Hypnosis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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55

Il cyber death metal degli Hypnosis non è certo una novità assoluta per chi segue un po’ la scena metal francese. Il quartetto infatti è giunto alla realizzazione del suo quinto album in studio e, purtroppo, nonostante le millantate ottime recensioni ricevute in patria, devo dire che non è più una novità neanche il loro sound.

Death metal con inserzioni industrial che tanto sanno di Ministry e Nine Inch Nails o dei Pain di Peter Tagtgren, solo per citare alcuni alfieri del genere, la loro musica è caratterizzata da anni da una variabilità molto vicina allo zero.

The Synthetic Light of Hope, ultima fatica pubblicata in Francia già nel 2008, e riproposta oggi per il mercato estero con un mastering nuovo di zecca dall’etichetta olandese Dark Balance, risulta come lo specchio perfetto di questo gruppo allo stato attuale.

Gli anni sono passati ed hanno portato solo una dilatazione all’inverosimile delle tracce, accompagnata da un’abbondanza, oltre misura a mio parere, di effetti e campionamenti. Peccato che la produzione tutta, in verità, risulti quanto meno inappropriata, per non dire scarsa, a livello di volumi e di pulizia del sound; elementi questi che dovrebbero essere invece privilegiati per esaltare la particolarità di un tipo di musica come questa.

La struttura dei brani d’altra parte, scala raramente la soglia di interesse e si regge unicamente sul moto perpetuo della drum machine, sul growling davvero monotono di Greg Balia-Taris e sugli algidi quanto discutibili inserti vocali della chitarrista Cindy Goloubkoff, che dovrebbero rappresentare la faccia melodica dei pezzi, funzione che già hanno nel gothic metal le female vocals, ma che invece risultano essere quantomeno inappropriate, un po’ per il piattume della voce in sè e un po’ per la scelta del suono conferitole in fase di registrazione.

I pochi episodi degni di nota come The Day We Failed, Into Trouble Waters, My Deepest Solitude o la conclusiva [Kill Me] When I Dream, sono gli unici dove, tra carillon rotti ed ritornelli ridicoli, questi deathster transalpini hanno dato l’idea di poter osare di più, anche se solo per pochi attimi, non fossilizzandosi solamente sugli orpelli elettronici ma spremendosi il cervello anche un attimo sulle partiture. E’ dunque unicamente qui che traspare qualche mid-tempo gustoso ed alcuni interessanti scambi tra le due chitarre; a dimostrare che le doti ci sarebbero pure ma vengono purtroppo mal riposte. Per il resto, infatti, si sentono solo brutte eco distorte di altri artisti e ammiccamenti ad un pubblico più vasto e magari più disponibile all’ibrido di tendenza.

Un’ottima band di mestiere per discoteche pseudo-alternative dunque ma per me, neanche chi ama il genere troverà granchè di cui bearsi in quest’album, perchè la musica qui proposta dà l’effetto di una polaroid scolorita degli anni ’90, quando questo tipo di sonorità avevano un senso ed infatti impazzavano, e quando questa stessa band cominciava a muovere i primi passi.

Un biglietto da visita fuorviante per una scena, quella francese, che invece, nello stesso momento, sta vivendo una sfrenata progressione verso il futuro.

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro
 

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Tracklist

1. Blood Tears   04:39 
2. The Day We Failed   04:00 
3. Into Trouble Waters   04:28 
4. The Synthetic Light of Hope   04:58 
5. Wasted Land    02:53 
6. An Ordinary Day   04:50 
7. My Deepest Solitude   05:02 
8. Dead Is the Sun   04:43 
9. Kill Me When I Dream   04:58 

Total playing time   40:31

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